Monumenti di zinco e altri minerali si ergono imponenti all'uscita di Iglesias, il ferro determina quel rosso-arancio che si fa più scuro nei giorni di pioggia. Sono i "fanghi rossi": scorie tossiche incastonate nel panorama che lasciano a bocca aperta i turisti di passaggio. Uno scenario eterno e muto.

Ci voleva un talento della regia nato in questi luoghi, Alberto Diana, classe 1989, per dare evidenza filmica al riverbero di suggestioni antiche che non smettono di proiettare le loro ombre sul presente. Domani alle 18.15 al Torino Film Festival, unico lavoro sardo inserito nel programma di una manifestazione così importante - soprattutto per il cinema indipendente - sarà proiettato in anteprima nazionale il suo mediometraggio "Fango rosso", inserito nella sezione Italiana.doc riservata ai documentari.

Una scena (foto tratta dal film)
Una scena (foto tratta dal film)
Una scena (foto tratta dal film)

«Si tratta di un viaggio intimo in un paesaggio desolato ma capace di offrire, con apparente contraddizione, una nuova stravagante bellezza», racconta il giovane regista, «un viaggio nella campagna del Sud Ovest sardo, tra Iglesias, Gonnesa e la costa di Portoscuso, ma anche nel tempo, a ritroso, scandito dai simulacri architettonici delle miniere dismesse e delle industrie ancora attive, come quelle dell'area di Portovesme, che nella narrazione rimangono quasi sempre ai margini, nel fuori campo, eppure incombenti a violare la natura circostante».

Domani, su L'Unione Sarda in edicola, l'intervista integrale a cura di Luca Mirarchi.

Francesca Figus
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