Compiuti da poco cinquant’anni, cogliamo l’occasione per fare un po’ di luce sulla carriera e l’estro creativo dello showrunner Damon Lindelof, sceneggiatore, produttore e fumettista nato nel 1973 nel New Jersey da una famiglia di origini ebraiche, nominato per 12 candidature agli Emmy con tre vittorie conseguite ed inserito nel 2010 dalla rivista “Time” nella lista annuale delle persone più influenti al mondo.

Alcuni dei progetti a cui ha preso parte son divenuti seminali per i prodotti a venire, altri purtroppo son finiti persi nello sconfinato mare della serialità televisiva, senza accaparrarsi il giusto riconoscimento. Noto soprattutto per esser stato il co-creatore di una delle serie più importanti di tutti i tempi - e ci riferiamo chiaramente a “Lost”, divenuto un fenomeno di massa quando ancora la moda delle serie tv non imperversava  come oggi - alla sua visionaria fantasia dobbiamo anche nomi come “The Leftovers”, il sequel di “Watchmen” e la nuovissima “Mrs Davis”, presto anche in Italia.

Ma cos’è che lo rende tanto unico in tutto il panorama? Si può partire chiarendo innanzitutto una premessa fondamentale: senza una scrittura solida e funzionale, regia e messa in scena da sole possono fare ben poco. Questa regola di base è stata talmente strutturale in tutto il percorso di Lindelof da cambiare per sempre il modo di intendere la serie tv; lo si è visto soprattutto con “Lost”, dopo il quale son seguiti progetti più contenuti ma dal valore qualitativo comunque indiscutibile. Proprio a inizio carriera, Lindelof  diviene lo showrunner di “Lost” insieme a Carlton Cuse, curando il progetto per tutte e sei le stagioni dopo averlo ideato insieme a J.J. Abrams e Jeffrey Lieber, che più tardi prenderanno da esso le distanze. Tornerà a collaborare con Abrams, ed altri come Alex Kurtzman e Roberto Orci  anch’essi precedentemente coinvolti nella realizzazione di Lost, solo in produzioni legate al cinema con progetti quali “Star Trek” e “Into Darkness”. Sempre per il grande schermo ha collaborato a film quali “Cowboys & Aliens”, “Prometheus”, “World War Z” e “Tomorrowland”.

Dal 2004 al 2010, “Lost” ha ridefinito il modo di strutturare la narrativa e la caratterizzazione dei personaggi, contando soprattutto sullo sviluppo massiccio della trama orizzontale e sull’uso ricorrente di flashback. Con la puntata dal titolo “La costante”, ad esempio, si inscena in modo del tutto unico il legame sentimentale tra i personaggi di Desmond e Penny, con un delicato intreccio di scienza, fede e filosofia. La tensione magica che anima l’intero episodio si mantiene intatta fino alla sua conclusione, quando alla telefonata di lui non sappiamo se seguirà la risposta di lei perché intercorsi nel frattempo molti anni. Grazie sempre alla penna di Lindelof, Desmond - interpretato da Henry Ian Cusick - è ricordato come uno dei personaggi più amati di tutta la serie, anche se subentrato solo a partire dalla seconda stagione.

Con le tre stagioni targate HBO di “The Leftovers”, tratte dal romanzo di Tom Perrotta “Svaniti nel nulla” e curate da Lindelof insieme allo scrittore, lo showrunner raggiunge e maneggia abilmente il suo più alto grado di maturazione espressiva. Diversamente dal solito, le puntate più interessanti compaiono dalla seconda stagione in poi, quando Lindelof ha dovuto curare autonomamente la storia senza affidarsi all’opera originaria di riferimento. Anche qui scienza e fede si mescolano, prendendo spunto da un incipit quanto mai drammatico: metà della popolazione mondiale svanisce nel nulla, lo sforzo di reagire a fronte di una simile tragedia spinge i sopravvissuti a stili di vita assurdi, una condotta oltremodo distruttiva e all’elaborazione di nuove professioni di fede che tentino di dare un senso all’inspiegabile. Una serie tv estremamente coraggiosa, seppur non degnamente tenuta in conto da  pubblico e critica. Col lavoro a quattro mani di Lindelof e Nick Cuse, l’episodio “Assassinio internazionale” sa ancora distinguersi tra la concorrenza per il suo originale mix di elementi - tra dramma e commedia, immaginando perfino gli scenari possibili che hanno originato il mondo - e per l’interpretazione da applausi di Justin Theroux, spinto al massimo delle sue capacità.

Un adattamento ancora più coraggioso ed insidioso - se pensiamo chi sono l’autore e l’opera di riferimento - è il seguito diretto di “Watchmen”, ispirato alla graphic novel originale, con un proseguimento ed una conclusione - se vogliamo - non meno sorprendenti del primo, intramontabile lavoro. Ebbene, qui ancora una volta Lindelof dimostra una spiccata intelligenza nell’appropriarsi di un contesto narrativo per poi tradirlo con mestiere ma anche col giusto rispetto. Da ricordare ad esempio i giochi di parole coi titoli delle puntate, come avviene per l’ottavo episodio “A God walks into Abar”, che rievoca in qualche modo le parabole religiose e cita la parola “Abar”, il cognome della vigilante Sister Night, interpretata da Regina King. Come se si volesse simboleggiare che un Dio sia entrato dentro di lei, partecipiamo così al racconto - attraverso un lungo flashback - di come il personaggio abbia conosciuto in Vietnam il suo futuro marito. 

E per concludere, l’ultimo progetto creato insieme a Tara Hernandez dal titolo “Mrs Davis” è appena approdato sulla piattaforma statunitense Peacock e si appresta a giungere anche qui da noi. Con protagonista Betty Gilpin, si ripropone ancora una volta il binomio scienza-religione attraverso le vicende di una suora che mette in gioco la propria fede confrontandosi con un’intelligenza artificiale. Anche in questo caso si avverte il sentore di capolavoro, speriamo proprio di non rimanerne delusi. 

Giovanni Scanu

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