Addio a Giuliano Montaldo, fra i registi che hanno fatto grande il cinema italiano a partire dagli anni Sessanta. È morto nella sua casa di Roma dove viveva con l'amatissima moglie, Vera Pescarolo, la figlia Elisabetta e i suoi due nipoti Inti e Jana Carboni.

GLI ESORDI – L'eterno ragazzo di Cinecittà nasce a Genova il 22 febbraio del 1930. Fin da ragazzo ha l'occhio del navigatore come Colombo, la voce di un Gino Paoli dai toni baritonali, la passione militante del giovane Calvino partigiano, il piacere dello scherzo di Paolo Villaggio e la leggerezza poetica di Lele Luzzati, tutti liguri come lui, tutti un po' saggi e un po' matti come lui.

A guerra finita da un po', come tanti provinciali col sogno del cinema, il ventenne Giuliano parte alla scoperta di Roma. È alto, bello, dotato di magnetici occhi azzurri e modi eleganti da conquistatore. Ma non è per questo che l'esordiente regista Carlo Lizzani lo chiama al suo fianco nel 1951 per "Achtung, Banditi!”. Il film sarà girato in Liguria, i soldi scarseggiano (sarà prodotto in cooperativa col sostegno dei partigiani) e serve un aiuto-regista pratico dei luoghi. Sul set sono praticamente tutti alle prime armi e Montaldo si fa notare anche come attore. Con Lizzani è amicizia vera e durerà tutta la vita: nel film successivo “Cronache di poveri amanti” del '54 c'è ancora una particina per lui ma intanto il ragazzo genovese si impratichisce da regista rubando a tutti i segreti del mestiere.

DIETRO LA CINEPRESA – Citto Maselli e Luciano Emmer gli insegnano la tecnica, Elio Petri per cui recita ne "L'assassino” del 1961 lo spinge a debuttare a sua volta dietro la macchina da presa. Con “Tiro al piccione” dello stesso anno, il cinema italiano scopre un nuovo talento ma basta il soggetto scelto (l'amaro destino di un soldatino della Repubblica Sociale negli ultimi giorni del fascismo) per capire che Montaldo non ama le scelte facili. Infatti il film (come il successivo “Una bella grinta” del '65) non gode dei favori della critica di sinistra e anche all'interno del Pci Giuliano dovrà difendersi da qualche processo un po’ troppo sommario. Come del resto dalle accuse di oltraggio al pudore che piovono sul documentario “Nudi per vivere” sulla Parigi del sesso che firma nel '63, insieme a Petri e Giulio Questi, col bizzarro acronimo Elio Montesti che i tre non sveleranno per molti anni.

Testardo, metodico, incoraggiato da colleghi che resteranno amici veri tutta la vita (Lizzani e Pontecorvo sopra tutti) Montaldo capisce che è attraverso un uso intelligente dei generi popolari che può fare il "suo" cinema e che il vento internazionalista degli anni '60 può assecondare il suo gusto dell'avventura e del viaggio.

Ecco allora thriller di buona fattura come "Ad ogni costo” con Edward G.Robinson e “Gli intoccabili” con John Cassavetes che gli conquistano la fiducia dei produttori. Infatti il successivo “Gott mit uns” del 1970 ha ben altra ambizione: ambientato al crepuscolo della Germania nazista, il film dà l'avvio a una trilogia sulle aberrazioni del potere che dopo l'esercito prenderà di mira la giustizia (“Sacco e Vanzetti”, 1971) e la chiesa (“Giordano Bruno”, 1973). Anche grazie alla perfetta sintonia con Gian Maria Volontè che ne è memorabile eroe, i due film sono grandi successi popolari, ma non distolgono il regista dalla sua vocazione militante. Adesso vuole recuperare la storia partigiana e il copione di Franco Solinas per “L'Agnese va a morire” sembra perfetto per emozionare il pubblico. 

Alla fine degli anni '70 anche per Montaldo si aprono le porte della Rai e del cinema per la tv. Ma dopo la bella sperimentazione di “Circuito chiuso” (1978) la nuova sfida è il kolossal, la biografia di un viaggiatore che molto gli assomiglia. Con sua moglie Vera, Giuliano fa le valigie e parte per la Cina con “Il Milione” sottobraccio. Gli otto episodi del suo “Marco Polo” (1982-1983) sono un fiore all'occhiello per la tv e segnano la prima vera apertura della Cina comunista alle troupes occidentali dopo i viaggi pionieristici di Carlo Lizzani (1958) e Michelangelo Antonioni (1973).

Negli anni successivi sono ancora tante le avventure dell'eterno ragazzo del nostro cinema: le battaglie politiche all'interno dell'Anac (l'associazione degli autori), il cinema letterario ("Gli occhiali d'oro", 1987 e "Tempo di uccidere", 1989), Il documentario militante (fin da "L'addio a Berlinguer" del 1984), le incursioni da attore (memorabile l'incontro con Nanni Moretti ne "Il caimano", 2006), perfino la presidenza del David di Donatello nel 2017.

(Unioneonline/v.l.)

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