Attraversa l'Islanda in solitaria, il viaggio in condizioni estreme di un 45enne sardo VIDEO
Giorgio Sedda, originario di Assolo, ha vissuto un'esperienza quasi unicaUn viaggio per attraversare l’Islanda, da sud-ovest a nord-est, durato quasi due mesi e in condizioni ambientali proibitive. Ma Giorgio Sedda, 45enne originario di Assolo, nell’Oristanese, era consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato e non si è mai dato per vinto.
La Sardegna l’ha lasciata diversi anni fa. Dopo gli studi a Oristano (diploma di maestro d’arte), e l’Accademia di Belle Arti, ha viaggiato in vari Paesi per portare le sue opere, soprattutto incisioni. Un breve ritorno nell’Isola per realizzare un progetto tutto suo (decorazioni anche nelle case private), poi il desiderio di partire di nuovo, "amo tantissimo la mia terra, ma avevo voglia di vedere altro, di confrontarmi con ciò che non conosco", spiega.
E allora, valigia alla mano, missione avventura, è stato in varie città della Francia grazie all'uso della piattaforma "Workaway", ed è finito nella zona delle Alpi dove ha approfondito il metodo della scalata in alta montagna. Lì è entrato in contatto con la cooperativa Odcvl, che pianifica soggiorni educativi indirizzati a scuole, colonie, ma anche famiglie, con 12 centri in tutta la Francia. "Ho cominciato a lavorare con loro - dice - con varie mansioni: prima agente polivalente, poi ho proposto il mio progetto artistico, 'Un monde de couleur', basato appunto sui viaggi con l’intento di trasformare esperienze extraeuropee in opere d’arte".
Una particolare visione della società?
"Sì, un modo per portare l’arte nella società, pensare in modo diverso, approcciarsi anche alla vita in maniera diversa. C’è poi il lato della solidarietà perché con la prima esperienza che ho fatto in Africa, l’anno scorso, ho conosciuto un mondo lontano da quello occidentale fatto soprattutto di povertà. E mi sono affezionato a un orfanotrofio a cui ho destinato il ricavato del mio lavoro, quello di Ahepe, in Togo. Vedere cose diverse ti arricchisce e non poco. È vero che dai agli altri, ma enorme è la tua crescita interiore personale".
E ora questa nuova avventura. Da dove è partito?
"Dall’Alta Provenza, in Francia, in macchina fino a Parigi e da lì ho preso l’aereo per Reykjavík. Tampone anti-Covid, quarantena, e poi altro tampone. La spedizione vera e propria è cominciata il 9 gennaio ed è finita il 25 febbraio a Hraunhafnartangi, paese dal nome impronunciabile che si trova sul fiordo più alto del nord-est, vicinissimo al Circolo polare artico. L'unico villaggio nei dintorni, con 180 abitanti, si trova a 13 chilometri".
Che attrezzature ha portato in Islanda?
"Gli sci, una slitta alla quale si possono applicare e togliere due ruote che io tiravo con un'apposita imbracatura per trasportare tutto l’equipaggiamento, compreso il cibo".
Cosa mangiava?
"In realtà cose normalissime: pasta, molti carboidrati, e anche cioccolato per compensare il dispendio di energia. Di diverso c'erano le quantità perché nel corso della spedizione ho capito che dovevo aumentare le dosi. E poi cibo liofilizzato, minestrone, purè, riso, cous cous".
Quali sensazioni ha provato?
"Mi sono scoperto d’acciaio, mi aspettavo momenti di solitudine, di sofferenza ma la sorpresa maggiore è stata scoprirmi forte".
Le difficoltà più grandi?
"Quelle legate al meteo. A parte le temperature molto rigide, il vento lì è fortissimo e ti fa percepire ancora di più il freddo. Poi tutto dipendeva dal meteo: quanto riuscivo a camminare, in quanto tempo avrei montato la tenda, che era da ancorare di tutto punto per non rischiare che volasse via".
E in quel caso cosa avrebbe potuto fare?
"Per le emergenze avevo due telefoni, due carica batterie e un gps che consente di inviare la posizione o un messaggio di richiesta di soccorso. Per fortuna, prima di partire, ho conosciuto un ragazzo che vive e lavora qui, una 'guida dei ghiacciai', che ogni giorno mi inviava le previsioni meteo per permettermi di risparmiare la batteria".
Quindi tanti giorni senza sentire nessuno.
"Esatto, ho incontrato qualcuno nella fase iniziale e finale del viaggio. Tutta la parte centrale dell'Islanda è disabitata e magari in qualche punto ci saranno pure delle strade, forse sterrate, ma sono coperte da ghiaccio e neve, quindi devi proseguire per istinto, usare le cartine e la bussola. Per 25 giorni in pratica non ho parlato con nessuno, ho mandato qualche messaggio ai miei familiari per tranquillizzarli e basta".
Parlava da solo, magari?
"Beh, sì, qualche volta. Per ridere delle mie avventure o per darmi forza".
Ha avuto paura?
"No, ci sono stati dei momenti in cui ho dovuto agire con più determinazione, affrontare una difficoltà o difendermi dal meteo. In una giornata magari c'era sole poi improvvisamente il vento soffiava a 150 km/h e se non sei preparato e non sei pronto hai grandi problemi".
Che paesaggi ha incontrato?
"Solo ghiaccio, perché la neve a causa del vento viene continuamente spostata. Puoi vedere dei cumuli di cinque metri e sulle alture niente perché le folate la spazzano via".
Si è mai scoraggiato?
"Mai. Ci sono stati episodi di rischio, soprattutto a metà strada quando per attraversare un canyon ho dovuto utilizzare manovre alpinistiche per riuscire a passare e non far precipitare la mia slitta. Ho scavato con la pala, mi sono agganciato con la corda, ho agganciato la tenda. Insomma ogni giorno c'era molto 'movimento'".
Ci racconta una giornata-tipo?
"Le ore di luce sono più o meno 5. Mi alzavo alle 6 per essere pronto alle 9, dovevo sistemare tutto il materiale e partire intorno alle 10.30. Camminavo per una quindicina di chilometri al giorno, di più era impossibile dovendo portare un peso di 60-65 chili, io che ne peso 50. Poi mi fermavo prima del buio per installare la tenda in condizioni di sicurezza. Le operazioni sono lunghe e laboriose anche perché con i guanti alle mani i movimenti sono più complessi".
Come si era preparato prima di partire?
"Sono un appassionato della scalata, dello scialpinismo, e facevo molte uscite in montagna: camminata, sci, arrampicata, negli ultimi tempi mi sono allenato più intensamente anche ricreando le condizioni che avrei trovato. Quindi notti all'aperto, al freddo, tantissime prove per piazzare la tenda".
Ha vissuto un'esperienza praticamente unica. Perché tutto questo?
"Il mio fine è quello di raccogliere materiale da trasformare in opere d'arte. Fotografie ma non solo, tutto servirà per raccontare quella parte di mondo e per trasmettere certe emozioni a chi non l'ha mai vista e mai magari la vedrà. Quello che realizzerò sarà utile non solo per l'immagine della società per cui lavoro, in fondo io sono il loro 'ambasciatore artistico', ma intendo destinare l'ulteriore guadagno della mia attività alle realtà che ho già incontrato o che incontrerò in futuro".
Non c'è il pensiero di tornare in Sardegna?
"La mia terra non l'ho mai messa da parte, credo sia un vero e proprio paradiso, ma sono affascinato da tanti altri posti che non conosco. Magari un giorno tornerò e sarò felice di fare delle cose anche lì".