In molto ormai conoscono l'adroterapia, forma evoluta di radioterapia utilizzata per il trattamento di particolari tumori. A differenza della radioterapia convenzionale, che utilizza i raggi X o elettroni, l'adroterapia si affida a radiazioni costituite da particelle più pesanti (protoni e ioni carbonio). Per produrla servono centri specializzati con sincrotroni molto grandi e costosi, e sono qui molti i pazienti che si sottopongono a lunghi e costosi viaggi per sfruttare i benefici di questa particolare terapia.

Ora, però, uno studio italiano mette in dubbio l'efficacia dell'adroterapia.

Nelle conclusioni del lavoro, i ricercatori evidenziano che "nonostante il numero crescente di centri di adroterapia e di studi clinici pubblicati, vi è una persistente incertezza sul beneficio clinico aggiunto dei trattamenti con adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale, e la ricerca clinica attualmente in corso potrebbe non contribuire a risolvere questa incertezza".

Una rassegna dei rapporti di Hta e degli studi in corso, che ha preso in considerazione tre banche dati tra gennaio 2011 e giugno 2019, è stata pubblicata su "Recenti Progressi in Medicina", una rivista accademica "peer reviewed". Lo studio è firmato da Tom Jefferson dell'Università Oxford e di Newcastle, Giulio Formoso, dell'Ausl-Irccs Reggio Emilia; Francesco Venturelli e Massimo Vicentini dell'Università di Modena e Reggio Emilia; Emilio Chiarolla dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) e Luciana Ballini della Direzione generale cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia Romagna.

(Unioneonline/v.l.)
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