«L’incidenza di casi di tumore al pancreas è in crescita. Su scala nazionale si sono registrati circa 13.700 casi nel 2017 e 14.300 nel 2020 (fra questi 6.900 circa riguardavano gli uomini e 7.400 le donne). Bisogna inoltre rilevare l’alto tasso di mortalità che questo tumore comporta: a fronte dei 14.300 casi del 2020, infatti, i decessi stimati nel 2021 sono stati circa 12.900. La malattia si manifesta, di solito, dai 60-65 anni, mentre è decisamente più rara in persone più giovani». Si stima che a 5 anni dalla diagnosi circa il 10% delle persone con diagnosi di carcinoma pancreatico sia ancora in vita (dati relativi alla forma più frequente, l’adenocarcinoma).

Queste le prime considerazioni del professor Mario Scartozzi, direttore dell’Oncologia medica del Policlinico Duilio Casula, ospite a “15 minuti con…”, il talk sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou.

«L’elevato numero di decessi», prosegue Scartozzi, «è dovuto al fatto che la malattia è generalmente aggressiva per la maggior parte delle persone che la contraggono. Inoltre, il cancro al pancreas è di solito diagnosticato in una fase già avanzata per la difficoltà di effettuare screening sulla popolazione o di rivelarne la presenza con esami di routine. Una diagnosi precoce è più facile quando si riscontrano fattori di ereditarietà, ma si tratta davvero di una minoranza dei casi».

«Come per quasi tutte le forme tumorali», aggiunge il professore, «i fattori di rischio sono legati a una scorretta alimentazione (che può portare all’obesità), al fumo, all’alcol e all’assenza di un’attività fisica. La prevenzione che si può attuare passa dunque attraverso buone prassi di vita. Ad oggi, dopo cinque anni dalla diagnosi è ancora vivo il 10% dei malati».

«Il primo passaggio dell’iter terapico, quando viene individuata la patologia», spiega Scartozzi, «è la biopsia, accompagnata da uno studio dell’organismo per vedere se la malattia è confinata al pancreas o si è sviluppata anche in altri organi, come il torace e l’addome. In una percentuale di malati l’innalzamento della bilirubina nel sangue è un segnale della presenza del tumore».

«Riguardo il trattamento», evidenzia il medico, «vi sono tre capisaldi: alcuni approfondimenti di biologia molecolare su un campione istologico (l’espressione di due geni, BRCA1 e 2 supportano la terapia successiva); la presa in carico complessiva del paziente per il controllo della sintomatologia, ad esempio riguardo il controllo del dolore, il piano alimentare e il supporto psicologico (un’assistenza coordinata da diversi specialisti); le cure specifiche (chirurgia, radioterapia o chemioterapia, in base ai diversi quadri clinici). Questi protocolli, andando di pari passo con gli sviluppi della ricerca, stanno migliorando l’aspettativa e la qualità della vita dei pazienti».

Luca Mirarchi

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