Ritardi nella diagnosi e ancora troppo scetticismo di fronte a questo tipo di patologia. Sono queste due problematiche che i malati di sindrome da fatica cronica - oltre al disturbo di per sé - si trovano a dover affrontare. Se infatti si parla ancora troppo poco di quella che gli esperti definiscono “la malattia più comune che probabilmente non avete mai visto” è anche a causa della “resistenza” a considerare la fatica cronica come una patologia vera e propria. Eppure, dati alla mano, si tratta di una realtà a fortissimo impatto: gli ultimi studi parlano di più di 20 milioni di persone colpite a livello globale, di cui circa 100mila solo in Italia.

La difficoltà a riconoscere e identificare rapidamente questa malattia, oltre al fatto che la si ritiene ancora in troppi casi una patologia di “serie B”, contribuisce ai forti ritardi nella diagnosi. Diagnosi che, a sua volta, risulta complicata dal fatto che non esistono esami specifici per accertarla. Ecco allora che il medico deve seguire alcune linee guida: per prima cosa verificare che lo stato di salute non sia compromesso a causa di nessun’altra malattia nota; inoltre bisogna appurare che i sintomi provati dal paziente non dipendano dalla comune sonnolenza o dalla mancanza di motivazione.

Le manifestazioni tipiche

Quindi, si stringe la lente su altre manifestazioni tipiche di questa patologia. Per prima cosa, perché si possa parlare di encefalomielite mialgica è necessario che sia presente da almeno sei mesi una fatica cronica continua che non solo non si risolve con il riposo, ma che addirittura peggiora con piccoli sforzi. Una condizione che provoca una importante riduzione delle attività lavorative, sociali e personali. Secondo le linee guida più recenti, poi, devono manifestarsi da almeno sei mesi anche quattro o più di questi sintomi: gravi alterazioni della memoria e della concentrazione, da cui dipende una riduzione sensibile delle attività lavorative e personali; faringite; dolori nella zona dei linfonodi cervicali e ascellari; dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazione o rigonfiamento; mal di testa, ma di una tipologia diversa rispetto a quella che si può aver provato in passato;  incapacità di trovare ristoro nel sonno; e, infine, una sensazione di debolezza che perdura da almeno 24 ore dopo l’esercizio fisico. In generale, si può dire che le persone che soffrono di sindrome da fatica cronica possono avere disturbi che assomigliano a quelli di un’influenza cronica che prosegue per mesi, se non addirittura per anni. E una volta che si è arrivati finalmente alla diagnosi?

Purtroppo non esiste al momento una terapia in grado di risolvere completamente il problema. Per questo si procede con un approccio integrato di terapie farmacologiche e non, unite a un sano stile di vita. Nello specifico, i farmaci più utilizzati sono gli immunomodulanti, i cortisonici, gli antivirali, gli antidepressivi e gli ansiolitici, il tutto con l’obiettivo di agire su tre fronti, a partire dal sostegno emotivo del malato, per continuare con la riduzione dei disturbi e arrivare a un miglioramento funzionale. Terapia cognitivo-comportamentale ed esercizio fisico aerobico graduato possono essere parte della “cura”, anche se non tutti gli esperti concordano sulla loro reale efficacia nel combattere questa patologia.

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