Malattia di Alzheimer, problema sociale sempre più rilevante
Fa il punto della situazione il dottor Gianluca Floris, neurologo del Policlinico Duilio CasulaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«La malattia di Alzheimer è la più comune tra le demenze, rappresentando circa il 50% dei casi ed è caratterizzata dalla comparsa insidiosa e progressiva di deficit della capacità di formare nuovi ricordi (memoria di fissazione o anterograda), a fronte di una relativamente conservata capacità di rievocare memorie più o meno remote. In seguito, nel giro di qualche anno, tendono a comparire difficoltà progressive a carico di altre funzioni cognitive quali capacità di comprensione e recupero dei vocaboli, di riconoscimento di persone note e di utilizzo degli oggetti, orientamento spaziale, capacità organizzative mentre il deficit mnesico diviene progressivamente più severo. All’inizio i disturbi sono episodici poi tendono a farsi progressivamente più frequenti, a divenire stabili e a compromettere le autonomie quotidiane con progressiva necessità di assistenza di terzi».
La definizione è data dal dottor Gianluca Floris neurologo del Policlinico Duilio Casula, ospite a “15 minuti con…” il talk di approfondimento sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou di Cagliari.
«Negli ultimi decenni», spiega il medico, «al concetto di demenza si è affiancato quelli di “deterioramento cognitivo lieve” (Mild Cognitive Impairment), che in oltre il 50% dei casi rappresenta una fase di pre-demenza: tali pazienti presentano inizialmente deficit cognitivi lievi, singoli (es. solo compromissione della memoria) o multipli, che non limitano la loro indipendenza funzionale, ma possono poi progredire a demenza vera e propria. Oggi è divenuto evidente che la malattia di Alzheimer è caratterizzata da una lunga fase iniziale — prima che si sviluppino i sintomi — della durata di circa 10 anni, da una fase di sintomi iniziali in pazienti con conservate autonomie e solo in seguito da una fase di vera e propria demenza. Pertanto parlare di malattia di Alzheimer è più corretto rispetto a demenza di Alzheimer. Gran parte dello sforzo dei clinici e ricercatori è concentrato proprio sulla diagnosi precoce e su interventi terapeutici in fase iniziale».
«Il fattore di rischio principale delle demenze è l’età», prosegue Floris: «La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati varia dal 4,5 all’8% negli ultrasessantacinquenni e sale con l’età fino a oltre il 20% dopo gli 80 anni. Proprio per le mutate caratteristiche della popolazione in termini di invecchiamento negli ultimi decenni le demenze sono diventate un problema sempre più rilevante di sanità pubblica e a livello socio-assistenziale. In Italia si stima che siano presenti circa 1.100.000 persone con demenza (di cui il 54 % con Alzheimer), 900.000 con Mild Cognitive Impairment e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei pazienti, con importanti conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. In Sardegna si stima che siano presenti circa 24.000 persone affette da demenza».
«Le aumentate conoscenze sulla storia di malattia e sui meccanismi causali hanno permesso un netto miglioramento dell’accuratezza diagnostica, con possibile utilizzo di biomarker indicativi dei meccanismi patologici e di neurodegenerazione», aggiunge il neurologo: «Ci sono inoltre dati solidi sulla possibilità di prevenzione che è possibile nell’infanzia migliorando il grado di scolarità e nell’età media e senile della vita agendo su fattori di rischio come diabete, ipercolesterolemia, ipertensione e obesità e anche su uno stile di vita poco salutare, comprendente una scarsa attività fisica e mentale, un'alimentazione poco equilibrata, l'abuso di alcool o altre sostanze, il fumo, l’isolamento sociale e i traumi cranici. In sostanza, agendo sui fattori modificabili si potrebbero prevenire fino al 40% delle forme o quanto meno ritardare l’età di esordio di un numero rilevante di casi».
Luca Mirarchi