Il miele amaro, fiore all'occhiello della Sardegna, potrebbe celare il segreto per la lotta ai tumori. Conosciuto da oltre duemila anni, giacché si trovano riferimenti nelle opere di Cicerone, Orazio, Virgilio e Dioscoride, che ne decantava le qualità curative nel “De medica natura”, solo alla fine del XIX secolo entrò nel mirino degli scienziati, interessati a scoprire le ragioni di quel sapore acre e astringente che lo contraddistingue.

Le conoscenze attuali

Dopo decenni di studi e alcuni buchi nell’acqua, oggi sappiamo che il miele amaro deriva dai fiori del corbezzolo, ricchi di composti fenolici e polifenolici che passano, durante il processo di elaborazione nelle arnie, dal nettare al miele. Sono proprio queste sostanze a conferirgli il sapore pungente, il profumo che ricorda quello dei fondi del caffè e - presumibilmente - dalle proprietà antitumorali, dal momento che il loro consumo è stato associato a un’incidenza più bassa di tumori del colon (tra i più diffusi e ostici da curare).

Gli effetti curativi

Partendo da questi presupposti, un gruppo di ricerca dell’Università politecnica delle Marche, sotto la supervisione del professor Maurizio Battino, ha deciso di valutare se e in che misura il miele di corbezzolo fosse tossico per le cellule del carcinoma del colon (un tumore maligno) e per le cellule metastatiche (le più pericolose, perché possono staccarsi dal tumore originario e formarne di nuovi in altre parti del corpo).

Dunque, i ricercatori hanno confrontato il miele amaro prelevato da cinque località sarde col miele di manuka, noto per le sue proprietà antiossidanti e antiproliferative; sottoponendoli ai saggi di laboratorio, hanno scoperto che il miele amaro di Berchidda non solo riduce la sopravvivenza delle cellule tumorali senza intaccare quelle sane, ma è più potente del miele di manuka (ovvero, agisce a concentrazioni inferiori) perché contiene più sostanze polifenoliche.

Attraverso ulteriori analisi, hanno osservato che il miele amaro danneggia le cellule maligne, innescando dei processi ossidativi al loro interno, e ne modifica il comportamento: infatti, ne riduce la moltiplicazione, la capacità di migrare e colonizzare i tessuti sani; inoltre ne arresta il ciclo vitale, avviandole a morte programmata.

L’utilizzo in medicina

Di recente, hanno dimostrato che esiste anche un effetto sinergico tra miele di corbezzolo e 5-fluorouracile (un farmaco antitumorale); in parole povere, gli effetti ottenuti combinandoli sono di gran lunga superiori a quelli in singolo. Di conseguenza, si potrebbe sfruttare questa associazione per trattare in maniera efficiente - ma con meno effetti indesiderati - i tumori del colon, visto che permetterebbe al 5-fluorouracile di agire a dosi più basse. Staremo a vedere se le sperimentazioni future confermeranno queste potenzialità.

Jessica Zanza

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La vigoressia, male raro ma insidioso

Per qualcuno è una vera e propria paura. E va affrontata, facendosi aiutare, per non esagerare con la forma fisica nel tentativo di apparire sempre più robusti e muscolosi, quando già il corpo è ampiamente “forgiato”. Stiamo parlando della bigoressia o vigoressia. L’obiettivo, per chi ne soffre, è continuare a muoversi per apparire sempre più forte e robusto, con fasci muscolari invidiabili e, al contempo, con la percezione errata che le persone vedano la persona sempre gracile. Una ricerca molto ardita prova a definire cosa può accadere quando si verifica questo quadro, che va sempre affrontato con il giusto aiuto sul fronte psicologico e nutrizionale, in termini di “messaggi” che gli organi interni inviano al cervello. Proprio questo continuo e impercettibile scambio di “idee” intangibili, sotto forma di segnali nervosi, sarebbe infatti un possibile meccanismo neurobiologico che aiuterà forse ad affrontare la situazione. Ad aprire questa “finestra” è un’originale ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Cortex, condotta dagli esperti dell’Università Anglia Ruskin. Stando allo studio, cuore, intestino e cervello sarebbero in costante collegamento anche sotto l’aspetto dei messaggi che si scambiano di continuo. In particolare, studiando adulti sani, gli studiosi hanno visto che risposte cerebrali più deboli agli stimoli in arrivo a intestino e cuore sono risultate associate ad una maggior percezione di un corpo che non “piace” e quindi anche di ansie per il peso. Insomma: anche un’alterazione di queste vie di comunicazione potrebbe contribuire a spiegare non solo quanto ci “piace” il nostro corpo ma anche influire sulla percezione che ne abbiamo. E non solo per la vigoressia, ma anche per altri potenziali disturbi del comportamento alimentare.

L’importante, per chi presenta possibili meccanismi di questo tipo è essere seguito a dovere. E soprattutto è basilare riuscire ad interpretare i segnali d’allarme che possono indicare un’errata percezione della propria massa muscolare, con interferenza sul modo in cui ci si vede.

Federico Mereta

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