Lo scorso febbraio Marco Cappato ha accompagnato Fabio Antoniani, conosciuto da tutti come dj Fabio, a morire in Svizzera.

Cieco e tetraplegico dal 2014 a causa di un incidente, Fabo ha scelto di ricorrere al suicidio assistito, oltralpe, lontano da casa. Un caso che fece molto scalpore, come altri simili, rilanciando il dibattito sul diritto all’eutanasia e sul testamento biologico.

Diritti sentiti dai cittadini (lo dicono i sondaggi), ma che in Italia non sono sanciti, tanto che Cappato è finito sotto accusa e dovrà difendersi in tribunale.

Intanto, in Parlamento una legge sul fine vita - l’ennesima - è stata presentata, ma giace, bloccata al Senato.

Mentre ormai la legislatura volge al termine senza un risultato concreto e alla vigilia del processo, L’Unione Sarda ha incontrato Cappato nel corso di un convegno a Milano, intitolato “Le scelte di fine vita nella legislazione italiana”, organizzato dall’Associazione Luca Coscioni.

Lei andrà a processo per la vicenda di Fabio Antoniani. Nel frattempo la legge sul fine vita non decolla. Perché?

“Quando una legge ha un consenso che tutti attestano almeno al 70 per cento, è un problema di volontà politica dei capi dei partiti. E più si avvicinano le elezioni più si affermano logiche di partito e di coalizione che nulla hanno a che vedere con l’interesse generale”.

Colpa anche dell’informazione o, meglio, della mancanza di informazione su questi temi?

“Se il servizio pubblico della ‘disinformazione’ televisiva organizzasse dibattiti, oltre che per sapere qual è l’aggiornamento sulla coalizione del giorno anche su temi di società, diventerebbe un po’ più difficile per i partiti sfilarsi da questi temi, come invece accade puntualmente”.

C’è un problema di democrazia, insomma...

“Sì, altrimenti non si spiegherebbe perché in 32 anni, tanti ne sono passati dalla prima proposta di legge, non si sia riusciti ad approvare nemmeno il testamento biologico, che è il minimo”.

In che senso?

“Nel senso che regolamentare il testamento biologico sarebbe il recepimento di quanto la giurisprudenza ha già stabilito essere diritto. Oggi, però, è un diritto soltanto per chi è nelle condizioni di attivarlo. Cioè per chi ha la risorse sufficienti o le conoscenze sufficienti per poterlo fare. Per tutti gli altri, invece, non è un diritto”.

Quali sono i principali ostacoli “materiali”: le lobby?, la Chiesa?

“E’ un problema di autoreferenzialità della politica. Vale più l’esigenza di mettere insieme le alleanze e le coalizioni rispetto al portare a casa un risultato concreto su un tema così popolare”.

Forse qualcuno teme di perdere voti...

“Secondo me, visti i sondaggi, di voti se ne guadagnerebbero. Solo che ci sono due modi per vincere le elezioni: prendere i voti del consenso popolare o mettersi d’accordo con più gente possibile per tirare su una coalizione. E spesso prevale il secondo”.

Eppure è un tema molto sentito...

“A noi sembra sia così. In realtà, anche se la maggioranza degli italiani è favorevole, se si chiede a mille cittadini se sono al corrente del fatto che c’è una legge bloccata al Senato risponderebbero di sì in due. È in assenza di informazione e di conoscenza che affrontare un tema del genere danneggia sul piano elettorale, mentre in presenza di un’opinione pubblica un minimo informata questi temi fanno guadagnare consenso”.

Un progetto di legge comunque c’è e ora la sua vicenda giudiziaria arriva in aula, dando nuovo risalto mediatico alla questione. Sarà la volta buona?

“Il nostro compito non è fare previsioni, ma continuare a lottare perché le cose accadano”.

Luigi Barnaba Frigoli

(Redazione Online)

LA VICENDA:

IL CONVEGNO:

© Riproduzione riservata