Da Sassari a Cambridge e da qui agli States. Bastiano Sanna, 47 anni, nuorese, scienziato e tanto altro ancora, oggi ha una modesta ambizione: fare qualcosa per la sua Sardegna. Quella terra che vent’anni di vita tra Cincinnati, Boston, New York e il resto del mondo, non sono riusciti a fargli dimenticare. «Tornerò, spero molto presto, vorrei davvero fare qualcosa in Sardegna», dice convinto. Nel frattempo, Sanna ha lavorato, e anche molto, per cercare una soluzione a due dei problemi che affliggono l’isola: la talassemia e il diabete di tipo 1 (nell’isola la più alta incidenza al mondo della malattia). E, stando ai recenti test, una soluzione l’ha pure trovata.

«Dirigo il team che lavora sulle terapie cellulari e genetiche della Vertex, uno dei più grandi gruppi dell’industria farmaceutica mondiale con sede a Boston, Massachusetts. Sono tante le cose di cui ci occupiamo, tra le quali la terapia genica per la distrofia muscolare. Ma, in particolare, mi preme sottolineare i risultati per la cura del cosiddetto diabete giovanile e per la talassemia. Sono risultati straordinari, da scienziato sono orgoglioso del nostro lavoro e da sardo sono felice che si possa offrire la speranza di una cura ai pazienti e alle loro famiglie».

Si spieghi.

«Abbiamo appena pubblicato i risultati su un primo paziente affetto da diabete da 40 anni e costretto ad assumere 30 unità di insulina al giorno: in tre mesi la quantità di insulina è stata ridotta di oltre il 90 per cento, con un miglioramento netto del suo quadro clinico glicemico. Un risultato storico, straordinario, il più importante per il diabete dai tempi della scoperta dell’insulina. Ha sorpreso non solo noi. Siamo finiti sulla prima pagina di moltissimi giornali».

Come lo avete ottenuto?

«Creando isole pancreatiche sintetiche, ovvero cellule che producono insulina, in laboratorio a partire da cellule staminali, e trapiantandole nel fegato. Nel diabete giovanile queste isole, che controllano la glicemia, vengono distrutte da un processo autoimmune. Il team ha trovato il modo di ricostruirle in laboratorio, “rigenerando” quello che si era perso».

È già pronto per una produzione in larga scala?

«Siamo in grado di fabbricare cellule in quantità industriale, ma per quanto riguarda la sperimentazione clinica per il momento questa terapia è da abbinare ai farmaci anti rigetto quindi è limitata ai casi di diabete più gravi, ma dal prossimo anno le cellule nuove saranno protette da un involucro inventato e prodotto da noi che le separa dal sistema immunitario, quindi senza bisogno di terapia anti rigetto. Si tratta di un pancreas sintetico e sarà disponibile per molti più pazienti».

Da quanto tempo lavoravate al progetto?

«Da alcuni anni grazie alla collaborazione con il professor Doug Melton, biologo dello sviluppo, docente di Harvard, i cui figli, Sam ed Emma, sono entrambi affetti da diabete 1. Aveva promesso di trovare la cura per loro: dopo vent’anni ce l’ha fatta. Mi ha chiesto di diventare CEO di Semma, la sua company, ho accettato subito. Eravamo in 20, in due anni siamo diventati oltre 700, grazie anche al fatto che Semma è stata venduta a Vertex per un miliardo di dollari».

L’altra cura riguarda la talassemia: in cosa consiste?

«È una cura basata sull’ingegneria genetica. Ci siamo serviti della tecnologia CRISPR, per intenderci, quella inventata da Jennifer Doudna, con la quale collaboro, e da Emmanuelle Charpentier, che hanno ricevuto il Nobel per la medicina nel 2020. Si tratta di prelevare una piccola quantità di staminali dal paziente, tagliare e ricucire il Dna in maniera molto precisa ripristinando la produzione di emoglobina fetale (quella che usano i bambini nel grembo materno e che viene sostituita alla nascita dalle emoglobine adulte) e restituendo le staminali “aggiustate” al paziente, di fatto correggendo la talassemia. In questo modo i pazienti non hanno più bisogno di trasfusioni. La sperimentazione clinica è in corso anche in Italia con il professor Locatelli a Roma ma pensiamo di poter chiedere l’approvazione della medicina entro la fine del anno prossimo e renderla disponibile per tutti i pazienti».

Vito Fiori

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