Uno studio che parte dalla Sardegna, e che mira a sottolineare l’importanza di un approccio alla medicina che sia sempre più globale e al tempo stesso personalizzato sulle reali necessità di cura del paziente.

Un approccio che vede la figura del medico, con la propria preparazione accademica e il proprio bagaglio di conoscenza ed esperienza, come elemento imprescindibile e cardine, ma con l’idea di fondo dell’importanza, in termini di risultati e benefici, dell’intervento in un secondo momento dell’intelligenza artificiale basata su banche dati.

 “Evolution of Clinical Medicine: From Expert Opinion to Artificial Intelligence” è il titolo della pubblicazione, riportata nel 2021 sul prestigioso Journal of Translation Critical Medicine.

Fra gli autori molti i sardi, come il nefrologo cagliaritano Antonio Barracca, lo sviluppatore ed esperto di “machine learning” Mauro Contini, l’ingegnere elettronico e sviluppatore Stefano Ledda, l’ingegnere elettronico ed esperto di “computer science” Gianmaria Mancosu e l’ingegnere senior del CRS4 Giovanni Pintore. Accanto a loro,  Kianoush Kashani, Nefrologo della Mayo Clinic di Rochester in Minnesota, e Claudio Ronco, Direttore dell’International Renal Research Institute di Vicenza.

A spiegarlo a L’Unione Sarda è Antonio Barracca, anche fondatore di abcGO!, start up presente in 45 paesi con 9 App che contengono più di 100 applicativi di ausilio della pratica clinica.

“Si tratta di uno studio che già nel profilo professionale degli autori – medici, statistici, sviluppatori ed esperti di tecnologia – evidenzia il suo principale obiettivo: e cioè mettere a fuoco come oggi la figura del medico debba sempre più essere interconnessa con altre professioni. Il punto di partenza è sempre il professionista, che di fronte a un paziente deve essere in grado di utilizzare conoscenze e competenze per arrivare a una diagnosi quanto più accurata possibile”.

Antonio Barracca (archivio L'Unione Sarda)
Antonio Barracca (archivio L'Unione Sarda)
Antonio Barracca (archivio L'Unione Sarda)

Un esempio? 

"Faccio un esempio: quando in pronto soccorso arriva un malato, il medico deve fornire una prima e tempestiva risposta. Il ruolo della macchina, opportunamente addestrata da professionalità specifiche, arriva in una fase successiva, ad esempio incrociando milioni di dati che un essere umano, per ovvie ragioni, non può fare, e andando alla ricerca di casi simili per conoscere le terapie messe in atto nel mondo e i risultati clinici conseguiti”.

Una vera e propria rivoluzione informatica a disposizione dei medici...

“Oggigiorno sono molte le informazioni che vengono raccolte tramite diversi canali. La maggior parte arriva da sistemi IoT (Internet of Things) collegati a dispositivi di telemedicina che monitorano costantemente il paziente. Ma possono arrivare anche dai vari imaging delle radiografie o delle TAC. L'obiettivo è trasformare tutto questo patrimonio di informazioni in conoscenza. Pensiamo al famoso Apple Watch, che rileva costantemente il battito cardiaco e altri parametri vitali del paziente. Mettere queste informazioni a disposizione di un esperto, e farlo in tempi rapidi, può significare diagnosi precoci e precise. O addirittura calcolare il rischio, per ciascun paziente, di soffrire in futuro di una determinata patologia. Questa sarebbe davvero una rivoluzione”.

Nello studio viene dato grande risalto al “data mining”: perché è così importante e cosa è necessario sapere sulle specifiche figure professionali?

 “Il ‘data mining’, letteralmente dall'inglese ‘estrazione di dati’, è il punto di partenza, e cioè l'insieme di tecniche e metodologie che hanno per oggetto l'estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati, i cosiddetti ‘big data’, informazioni che poi il ‘machine learning’ deve esaminare. Le tecniche e le strategie applicate alle operazioni di ‘data mining’ sono per larga parte automatizzate e consistono in specifici software e algoritmi adatti al singolo scopo. Ma presuppongono competenze informatiche particolari e studi magistrali, e da qui la necessità che i medici siano sempre più affiancati da figure professionali specifiche”.

Ci spiega ora meglio cosa è il “machine learning”, altro aspetto centrale dello studio, e cosa c’è dietro l’apprendimento automatico delle macchine?

“L’intelligenza artificiale utilizza metodi statistici per migliorare progressivamente le capacità di un algoritmo nell'identificare modelli di riferimento nell’analisi dei dati. Il ‘machine learning’, in concreto, è dunque un modello che impara dagli esempi. Per ciascun compito gli esempi sono forniti al machine learning sotto forma di input o ‘classificazioni’ e di output o ‘etichette’. Prendiamo ad esempio un esame istologico letto da un patologo, digitalizzato e convertito in classificazioni (l’insieme di tutti i pixel che compongono l’esame) ed in etichette (le informazioni che classificano il tipo di patologia presente). Usando un algoritmo per imparare dalle osservazioni, è possibile determinare come eseguire una mappa che metta assieme le classificazioni con le etichette per creare un modello generalizzabile. Per cui ogni nuovo modello sarà eseguito in maniera corretta anche su nuovi esami istologici mai visti prima da un patologo”.

Ci sono, in tema di intelligenza artificiale applicata alla medicina, esempi virtuosi cui guardare?

“Doctor at hand” è un’applicazione avviata nel 2017 e oggi molto diffusa nel Regno Unito: nasce dalla collaborazione tra Babylon Health, una società di servizi sanitari, e il National Health Service (NHS). Attraverso la App il paziente può accedere ad un sistema di triage basato su un chatbot che analizza i sintomi riportati e propone alcune risposte, ad esempio prenotare un video appuntamento con un medico di famiglia oppure, in casi selezionati, recarsi al Pronto Soccorso. Il cittadino può anche accedere direttamente alle consultazioni, disponibili h24, in genere entro 2 ore dalla richiesta. Alla consultazione può seguire una prescrizione farmacologica, un consiglio di cura o l’indicazione ad una consulenza specialistica.

L’obiettivo?

"La mission di Babylon Health è ridurre il carico lavorativo dei medici e dei servizi ospedalieri, in particolare dei pronto soccorso, e fornire un migliore servizio ai cittadini, in modo da rendere il servizio sanitario accessibile, economico e, appunto, ‘a portata di mano". 

Altro esempio?

"Ping An Good Doctor’, il colosso guidato da Fang Weihao e più importante operatore cinese di telemedicina, con oltre 300 milioni di utenti, un quinto della popolazione del Dragone. Offre servizi medici digitali e una piattaforma e-commerce specializzata nella cura della salute con professionisti disponibili a ogni ora, facilitati da applicazioni di intelligenza artificiale. Non solo: ha realizzato anche cliniche istantanee in cui è possibile, 24 ore su 24, ricevere diagnosi immediate e puntuali.

Le "cliniche istantanee" di Ping an Good Doctor" (foto da google)
Le "cliniche istantanee" di Ping an Good Doctor" (foto da google)
Le "cliniche istantanee" di Ping an Good Doctor" (foto da google)

Molte delle persone che si affidano a questa app sono persone che vivono nelle aree rurali e dunque prive di servizi adeguati. E l’aspetto più importante dell’applicazione è che dietro c’è il lavoro di centinaia di scienziati che hanno prodotto una serie di precise linee guida: la macchina funziona, dunque, sulla base di informazioni che i professionisti hanno fornito. La diagnosi non è allora un automatismo, ma avviene sulla base della letteratura scientifica”.

In Sardegna si sta evidenziando una vera e propria penuria di camici bianchi. Crede che strumenti di questo tipo potrebbero trovare applicazioni efficaci nell’Isola?

“In Sardegna il primo punto da affrontare, in questo senso, è il tema della digitalizzazione e dell’alfabetizzazione informatica fra tutte le fasce della popolazione, che vede ancora molta strada da fare. C’è poi una grande penuria di camici bianchi. E una necessità di riorganizzare la sanità al meglio. Partiamo da un punto chiave: si dice manchino nell’Isola 1400 medici, un dato che considera però organici del passato. Perché allora non ipotizzare un’attualizzazione degli organici, magari sgravando i medici più esperti da turni e guardie notturne e dando così loro il tempo di studiare e mettere a fattor comune tutti i dati a disposizione e contenuti ad esempio nelle cartelle cliniche da digitalizzare? C’è poi il tema che in Sardegna esistono tanti piccoli ospedali con servizi di diagnostica, ma mancano i radiologi. Perché non prevedere un unico centro diagnostico in cui processare le varie immagini acquisite nelle diverse sedi? Sarebbe una risposta alla necessità di avere diagnosi più tempestive e molto probabilmente più accurate”.

Ci sono, anche in questo ambito, modelli cui l’Isola potrebbe ispirarsi?

“Le cito l’esempio di Zebra Medical Vision, una startup israeliana che utilizza la tecnologia dell'intelligenza artificiale per aiutare a leggere i dati delle scansioni TAC. La società, che ha ricevuto sovvenzioni dall'Autorità per l'innovazione israeliana, lavora per rilevare i primi segni di cancro al seno e osteoporosi, analizzando le informazioni e producendo referti medici con una precisione del 90%. Negli Stati Uniti da tempo i referti di alcuni esami di diagnostica per immagini vengono processati, per accelerare i tempi, da esperti collegati in remoto da Bangalore e dedicati unicamente a questa attività”.

Nuova cultura medica, utilizzo sempre più marcato dell’intelligenza artificiale e dei big data, e sempre più persone connesse al web: quali altri ingredienti per la sanità del domani?

“Anzitutto l’inserimento di professionalità specifiche, in uscita dalle università, che rispondano sempre più a questo approccio di tipo ‘integrato’ con le macchine: è utile che i medici siano affiancati da esperti di statistica, di ingegneria, di informatica. E poi la capacità di mettere a sistema i dati, cosa che oggi in Italia avviene troppo di rado: le cartelle cliniche elettroniche non vengono quasi mai utilizzate, negli ospedali spesso il fascicolo dei pazienti viene aggiornato solo dopo le dimissioni e con l’unica indicazione della diagnosi finale. Immaginiamo un sistema in cui i medici ricevono le informazioni su un paziente colto da un ictus mentre si trova ancora in ambulanza. O che i dati di migliaia, milioni di persone possano servire a un medico per individuare le cure migliori per un paziente con una particolare forma di tumore o per prevedere, il Covid insegna, l’evoluzione di un’epidemia. Sono solo semplici esempi di quanto già oggi medicina digitale e l’opportuno uso di big data possono offrire. Con una precisazione etica da fare: non è mai la macchina a fare la diagnosi, ci deve essere sempre un responsabile medico che processa quanto la macchina suggerisce. Nessun automatismo, dunque, ma un importante aiuto dalle macchine a fare sempre meglio riducendo al minimo la possibilità di errore”.

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