Durante le ultime settimane l’infezione da SARS-CoV-2, responsabile della pandemia Covid-19, è stata considerata in diversi stati dell’Unione Europea un problema di salute non rilevante in quanto ne è stata (erroneamente) evidenziata la recente benignità clinica e la ridotta diffusione epidemica nella popolazione generale. Le narrazioni mediatiche e politiche, orientate a minimizzare la severità clinica del Covid-19, i rischi del Long Covid, e la continua evoluzione epidemica, rappresentano un importante problema di sanità pubblica. Come sottolineato dagli scienziati, il virus non possiede orecchie e non “aggiusta” il proprio comportamento di fronte ai proclami della politica che annuncia la fine della pandemia.

Per ben quattro volte è stato indicato il termine della pandemia in assenza di evidenze scientifiche che potessero giustificare roboanti annunci. Al contrario, si è assistito a una sequenza di ondate epidemiche globali causate da varianti sempre più contagiose e capaci di sfuggire parzialmente all’immunità indotta da pregresse infezioni o da cicli vaccinali. Gli incrementi di incidenza si sono associati a numerosi ricoveri in reparti di area medica, terapia intensiva, decessi, e a casi di Long-Covid. Insieme con la sofferenza individuale e di interi nuclei familiari associata all’occorrenza della malattia, si è assistito a continui rallentamenti od interruzioni della attività sociali ed economiche, con un rilevante impatto finanziario in termini di costi diretti ed indiretti.

La storia delle malattie infettive (vedi infezione da HIV/AIDS) e la breve evoluzione di SARS-CoV-2 dimostrano come l’evoluzione virale verso varianti meno virulente sia un mito privo di basi scientifiche. La storia evoluzionistica di un virus tende a orientarsi verso varianti dotate di elevata replicabilità nell’ospite e, quindi, elevata trasmissibilità. L’elevata tendenza mutazionale conduce alla selezione in breve tempo di varianti sempre più adatte all’ambiente nel quale si trovano, rispettando il principio evoluzionistico darwiniano.

All’elevata trasmissibilità il virus può associare la capacità di evadere le difese del sistema immunitario, come già rilevato durante le ondate epidemiche sostenute dalle varianti beta (sudafricana), gamma (brasiliana), delta, ed omicron; questa vulnerabilità del nostro sistema di difese si associa al rischio di infezione e reinfezione (in chi ha già avuto una infezione) e, conseguentemente, di malattia e complicazioni cliniche della malattia.

A seguito, quindi, di letture epidemiologiche distorte, l’elevata circolazione e costante registrazione di casi di infezione ha condotto alla narrazione della “endemia Covid-19” quale condizione epidemiologica benigna e priva di complicazioni per la salute delle persone.

La diffusa e falsa nozione di benignità dell’ultima ondata epidemica sostenuta dalla variante Omicron ha favorito un incremento dei contagi, dei ricoveri ospedalieri, e delle morti: la mancata adozione o lo scarso rispetto delle misure di prevenzione e controllo ha permesso un incremento della trasmissione virale, in presenza di una variante virale particolarmente contagiosa.

Immunità di gregge

L’evoluzione strutturale (antigenica) del virus si scontra con il concetto di immunità di gregge (immunità >80% nella popolazione) che è stata indicata come condizione in grado di ostacolare l’evoluzione del virus in ambito comunitario. La capacità del virus di modificare le proprie caratteristiche favorisce il diffondersi dell’infezione, sostenuta dall’incapacità del nostro organismo di controllare un virus dalle caratteristiche mutate. Inoltre, l’immunità indotta dalla vaccinazione o dalla pregressa infezione può indebolirsi, soprattutto in alcune fasce di popolazione a rischio di complicazioni (ad esempio, anziani, soggetti immunodepressi per malattie congenite o acquisite od in trattamento con farmaci capaci di alterare le difese immunitarie, ecc.).

La variante virale Omicron, ultima in ordine temporale a comparire a livello globale, presenta più di 50 mutazioni rispetto al virus isolato per la prima volta nella cinese Wuhan e possiede cambiamenti strutturali rilevanti rispetto alle varianti virali precedenti. Quindi, sulla base delle dinamiche finora registrate diventa difficile predire una evoluzione verso varianti virali più benigne e, dunque, verso la fine globale dell’epidemia Covid-19.

Nei Paesi europei (ad esempio, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Svizzera, ecc.) e non europei (Canada, USA) ove sono state allentate molte delle restrizioni comunitarie (ad esempio, uso della mascherina in ambienti chiusi), nonostante elevati livelli di copertura vaccinale, si è assistito ad una crescita del numero di casi di positività e di ospedalizzazioni. Nel Regno Unito si è verificato un incremento settimanale delle ospedalizzazioni superiore al 20%. Paesi come Corea del Sud, Hong Kong, Vietnam stanno affrontando nuove negative evoluzioni della pandemia, con grandi difficoltà per i servizi sanitari locali.

Le varianti

Il cambiamento epidemiologico ha spiegazioni multiple: la comparsa di una nuova variante BA.2, l’indebolimento nel tempo del sistema immunitario, e l’abbandono comportamentale, totale o parziale, delle misure di prevenzione. Alcuni ricercatori hanno mostrato come la variante virale BA.2 sia 4 volte più contagiosa della variante virale delta e 20 volte di più della variante virale di Wuhan. Presenta un tasso di attacco secondario (infezione causata in contatti domestici o professionali da parte di un soggetto contagioso) pari al 14,3%, più elevato del 25% rispetto a quello della variante omicron finora circolata nelle nostre aree geografiche (BA.1). Tutte le fasce di popolazione, incluse quelle pediatriche ed anziane, sembrano suscettibili ed a rischio di infezione e malattia.

A seguito della diffusione della Omicron BA.2 è auspicabile una più efficace strategia di sanità pubblica al fine di evitare una nuova ondata epidemica, drammatica in tempi di guerra.

Giovanni Sorgiu

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