Il Conte bis ha giurato: dieci ministri “rossi” (nove del Pd uno di LeU), dieci “gialli” e un tecnico al Viminale per il dopo Salvini.

Un governo sicuramente legittimo, come legittimo è stato il tentativo – riuscito – di Mattarella, di trovare una nuova maggioranza nel Parlamento eletto appena un anno fa, dopo la crisi agostana avviata in maniera un po' avventata da Matteo Salvini.

Legittimo ma molto fragile. Per una serie di motivi.

UN'ALLEANZA "SOPPORTATA" - È nato tra due leader che non volevano fare quest'alleanza, Di Maio e Zingaretti, poi letteralmente costretti dalle prese di posizione di Matteo Renzi da una parte e di Beppe Grillo dall'altra. Due leader deboli. Un segretario che non controlla i parlamentari, per buona parte in mano all'ex premier. Un capo politico fortemente ridimensionato dal ritorno del garante e fondatore, che lo ha spinto all'alleanza col Pd (lui avrebbe preferito tornare tra le braccia di Salvini che gli aveva offerto Palazzo Chigi) e lo ha sbertucciato per le liti sulle poltrone e sui “20 punti della Standa”.

Una stella, quella di Di Maio, che la notte del 4 marzo 2018 splendeva come non mai, ma oggi è offuscata dalla scalata di Giuseppe Conte. Che si è costruito prima una credibilità a Bruxelles, dialogando ai tavoli europei ed evitando due procedure d'infrazione, poi in Italia con quel discorso che ha steso Matteo Salvini al Senato.

Lo streaming Renzi-Grillo
Lo streaming Renzi-Grillo
Lo streaming Renzi-Grillo

UN GOVERNO SENZA BIG - I big si sono tenuti fuori. "Discontinuità", dicono quelli del Pd, ma la sensazione è che non si vogliano "sporcare" in questo esecutivo. Non c'è il segretario dem, non c'è Matteo Renzi, i renziani sono tre ma non i "big". Tra i 5 Stelle Di Maio, pur indebolito da Grillo e Conte e costretto a rinunciare a Palazzo Chigi, ha tenuto il punto e ha messo tutti i suoi uomini nei ministeri. Senza tener conto del manuale Cencelli, di Di Battista o degli uomini di Roberto Fico. La sensazione è che il capo politico M5S si stia giocando il tutto per tutto per non morire politicamente, e che in parte ci sia riuscito.

"L'unica cosa che certamente farebbe la Dc in questa crisi è mandare Di Battista al governo. La prassi Dc prevedeva sempre il coinvolgimento dei dissidenti", ha twittato Gianfranco Rotondi. Il nemico, insomma, accoglilo in casa e portalo dalla tua parte. Di Maio e il Pd non lo hanno fatto, e Di Battista potrebbe essere una mina potenzialmente distruttiva per l'esecutivo.

ANTI-SALVINI, MA PER COSA? - Un programma che sembra molto vago in tutti i suoi punti, per un governo nato in tempi brevi essenzialmente in funzione anti Salvini. Senza una visione comune, senza il tempo di svilupparla, costruirla attraverso un dialogo. L'unica cosa concreta (anche se tutta da realizzare ancora), un accordo di massima raggiunto sulla prossima manovra in cui inserire il salario minimo orario e mettere un po' di soldi in tasca ai lavoratori tagliando il cuneo fiscale. Sarebbe un buon primo passo.

MatteoSalvini (Ansa)
MatteoSalvini (Ansa)
MatteoSalvini (Ansa)

IL MOMENTO SBAGLIATO - Un dialogo tra il Pd e i 5 Stelle era destinato prima o poi ad avviarsi, ma non era questo il momento. E non per i continui insulti che ci sono stati tra le due parti, in passato era accaduto anche tra i pentastellati e la Lega. Più per una questione di opportunità politica. M5S nel giro di un mese passa da un'alleanza con la Lega a un'alleanza col Pd e LeU. I dem nello stesso arco di tempo da una dura opposizione al governo Conte all'ingresso in un nuovo governo Conte. Un'operazione di trasformismo estrema. Sarebbe stato meglio lasciar smaltire le tossine e aspettare il prossimo giro in Parlamento con rappresentanze del tutto rinnovate da ambo le parti.

SCONTENTI - Tutti sono, in una certa misura, scontenti. Zingaretti che ha accettato obtorto collo un’alleanza impostagli dallo stato maggiore del partito, da Renzi, e dalle pressioni di Bruxelles e delle cancellerie europee. L’intero Pd che alla fine è rimasto fuori da Palazzo Chigi, e la cosa pesa, a maggior ragione se nella sede della presidenza del Consiglio c'è il fedelissimo di Di Maio Riccardo Fraccaro. Lo stesso Conte: un premier più forte di quello che ha guidato i gialloverdi, ma che a notte fonda ha ceduto a un indomito Luigi Di Maio al termine di un duro scontro, accettando Fraccaro come sottosegretario, quando avrebbe preferito Roberto Chieppa, attuale segretario generale di Palazzo Chigi. Uno scontro che lascerà scorie.

E non è certo felice lo stesso Di Maio che, pur avendo piazzato i suoi fedelissimi ai ministeri, è scettico sull’alleanza e si sente circondato, con la leadership minacciata da Conte e dalle continue bacchettate di Grillo. Per non parlare di Alessandro Di Battista, che già pregustava le elezioni e la leadership del Movimento dopo il fallimento del governo Salvini – Di Maio. E che resta sullo sfondo, saprà ancora incarnare l'anima "dura e pura" dei pentastellati?

Matteo Renzi accarezza Teresa Bellanova in Senato (Ansa)
Matteo Renzi accarezza Teresa Bellanova in Senato (Ansa)
Matteo Renzi accarezza Teresa Bellanova in Senato (Ansa)

#GIUSEPPESTAISERENO - Poi c’è il fattore Renzi. Autentica mina vagante insieme a Di Battista. Ha piazzato tre dei suoi (Bonetti, Bellanova e Guerini), ma si è tenuto le mani libere. È stato lui il primo a proporre la nascita del governo giallorosso, con l’obiettivo – diceva – di “approvare la manovra evitando l’aumento dell’Iva”, per poi tornare al voto nel 2020. Un esecutivo transitorio per ritardare le elezioni e guadagnare tempo. Al fine di organizzare la nascita del nuovo partito o, nel caso, di riprendersi il Pd e presentarsi nuovamente da protagonista alle politiche.

L'ex premier dunque si sentirà libero – quando lo riterrà conveniente – di far cadere il governo, visto il controllo che esercita su molti parlamentari del Partito Democratico.

#Giuseppestaisereno cinque anni dopo #Enricostaisereno? È presto per dirlo. Ma riuscirà questo governo a disinnescare tutte le potenziali mine che si presenteranno sulla sua strada fino al 2023? Riuscirà a resistere ai malumori di tanti dei protagonisti "loro malgrado" di questa strana alleanza? Riuscirà a far fronte all’opposizione – che si preannuncia durissima e a tratti verbalmente violenta – di Matteo Salvini e Giorgia Meloni?

Il rischio è che nel tentativo di far fuori Salvini - che grida al golpe ma il suo è tutt'al più un autogolpe - gli si regalino tra uno o due anni quei "pieni poteri" che il leghista invocava dalle spiagge di Milano Marittima.

Davide Lombardi

(Unioneonline)
© Riproduzione riservata