Comunque vada, Alessandra Todde non è di passaggio: «Qualsiasi sia l’esito delle elezioni io resterò in Sardegna», assicura la candidata del Campo largo, «è una scelta definitiva. Nata dal desiderio di restituire esperienza e competenza alla mia terra». Dopo aver vissuto in nove Paesi diversi, Todde (55 anni, manager e imprenditrice, quattro lingue parlate in curriculum, deputata M5S) trasloca nell’Isola mirando direttamente a Villa Devoto. E forse per recuperare il tempo trascorso altrove, nei suoi incontri sta battendo palmo a palmo tutte le province: «Bellissima esperienza, parlare con le persone aiuta a capirne i problemi. Non parlano di grandi visioni, ma di bisogni primari. Sanità, lavoro, l’istruzione per i figli. E riscontro, soprattutto nei territori più periferici, molta disperazione».

La realtà è peggio di quel che si aspettava?

«Da molti anni vedo una Sardegna certamente in evoluzione, ma sempre un passo indietro rispetto ad altri. Quella disperazione è legata al disinteresse per le zone interne: c’è grande differenza di opportunità tra un giovane che cresce in un’area periferica e chi sta in una grande città. Bisogna restituire giustizia sociale ai territori trascurati».

Chi le ha parlato per primo di una sua candidatura?

«L’idea è nata all’interno del Movimento 5Stelle, mi è stata fatta la proposta e ne ho discusso prima col coordinatore regionale, poi in due assemblee con gli iscritti. Il tutto ha incontrato la mia volontà di dedicarmi alla Sardegna: come presidente della Regione, spero, ma anche da consigliera regionale credo che sarei un valore aggiunto, più che come deputata d’opposizione».

Perché è voluta rientrare?

«In realtà il legame con l’Isola è stato sempre forte. Poi dal 2012, quando sono rientrata dagli Stati Uniti, ci passo sempre più tempo. Nel 2014 ho ricevuto qui il premio come miglior imprenditrice sarda. E da quando ho intrapreso l’impegno politico, nei weekend rientro a Nuoro. Però nei dibattiti di queste settimane ho notato una cosa: auspichiamo sempre che i sardi che emigrano, poi ritornino; ma quando ritornano davvero, a volte non ci fa troppo piacere».

Ha percepito delle diffidenze nei suoi confronti?

«Quando le persone non si conoscono, qualche diffidenza è normale. Ma credo che in questa campagna elettorale gli alleati abbiano apprezzato la mia onestà intellettuale e il fatto di voler fare gioco di squadra. Voglio essere interprete della coalizione, non mi sento capo di nulla. Sa una cosa? Proprio la parte del Pd che poteva avere più remore verso un leader del M5S, è forse quella che mi sta dimostrando più affetto e sostegno».

Prima dell’impegno politico col M5S, lei cosa votava?

«Mio padre era democristiano, presidente dell’Azione cattolica, mio nonno sardista e antifascista convinto, confinato a Favignana. Due anime ben presenti nella mia vita, e quando ho votato, ho sempre scelto il Psd’Az. Infatti sono indignata per la deriva attuale, il suo credo svilito a Pontida».

Fuori dalla politica, quali sono le sue passioni?

«La principale, trasmessa da mio nonno, i miei cavalli. Mi hanno seguito dappertutto, in Francia, Spagna, Usa. E volendo rientrare in Sardegna, dal 2019 li ho riportati qui. Li considero parte della mia famiglia: quando sono in scuderia mi dimentico del resto, spengo il telefono, ritrovo il mio equilibrio. Poi mi piace tantissimo leggere».

Ora cosa sta leggendo?

«Ho ripreso in mano Mi rivolto dunque siamo, di Camus. Insegna molto a chi deve fare resistenza, e questo è un periodo di resistenza. È anche una parabola del centrosinistra: parla di un uomo che dice sempre no, ma poi, per riuscire a costruire, deve mettere dei sì. Inoltre di recente mi ha colpito l’ultimo libro di Michela Murgia, Dare la vita».

E la musica? Ha seguito qualcosa di Sanremo?

«Sono riuscita a vedere solo Mahmood con i Tenores di Bitti. Io amo molto Dalla, con De Gregori è stato la colonna sonora della mia giovinezza: volevo capire come potessero interpretare “Com’è profondo il mare”, un brano immortale. Il risultato è stato un capolavoro, mi sono commossa».

Il 25 febbraio però non c’è il televoto. Perché i sardi dovrebbero scegliere lei?

«Perché è necessario un cambiamento. La Giunta Solinas lascia una situazione in cui anche i diritti fondamentali sono negati, la sanità non è per tutti, e così l’istruzione e il lavoro. Paolo Truzzu rappresenta la perfetta continuità con Solinas. L’unica alternativa è il centrosinistra, e anche il modo in cui abbiamo costruito la nostra coalizione mostra la coerenza del cambiamento».

Cosa intende dire?

«Che le forze di sinistra, compresa la mia, sono note per spaccare l’atomo, essere molto critiche, far emergere le differenze. Invece per una volta si è capito che le diversità sono una ricchezza, con una capacità di sintesi che ci ha fatto convergere su un programma. Stiamo dimostrando che siamo una coalizione coesa».

Non siete però riusciti a tenere coeso l’intero centrosinistra. Perché non avete accettato le primarie?

«Il tema delle primarie è una scusa. Sono state discusse in maniera profonda al tavolo della coalizione. La differenza tra noi e Soru è che lui voleva imporle. I partiti hanno scelto una strada che potesse unire la coalizione, non spaccarla. Viene da pensare che le primarie andassero bene solo se il candidato fosse stato Renato Soru. Ora lui, da uomo intelligente, sa perfettamente che arriverà terzo. Quindi si sta prendendo la responsabilità di aiutare la destra a vincere».

Passiamo ai programmi. Perché non emerge una vostra proposta forte, un’idea-manifesto per l’Isola?

«No, io credo che la nostra proposta sia forte e chiara, spiegata in un programma corposo. Abbiamo detto che vogliamo cambiare l’organizzazione degli assessorati; abbiamo espresso la nostra idea della sanità, la necessità di una legge di governo del territorio, la posizione sull’energia… A proposito: Soru si prende sempre la primogenitura della società energetica regionale, io ne parlavo già un anno fa».

Se è per questo l’aveva proposta anche Solinas.

«Il nodo sono le modalità. Le sue non sono state mai granché efficaci. Io ho in mente un modello preciso, quello trentino, di una società partecipata da Regione e Comuni; voglio rinegoziare le concessioni idroelettriche, e fare subito la mappa delle aree idonee per le fonti rinnovabili, per fermare la speculazione. Non facendola, la Regione ha lasciato i Comuni in balia delle richieste delle multinazionali. Se governeremo la produzione energetica, potremo abbattere le bollette dei sardi e delle imprese».

Lei è favorevole al Tyrrhenian Link: ma rischia di essere una servitù energetica.

«Questa è un’obiezione che non capisco. Il Tyrrhenian Link è un cavidotto a due vie, quindi possiamo importare ed esportare. E se dobbiamo abbandonare i combustibili fossili entro il 2050, serve un’infrastruttura per dare stabilità al sistema».

Sanità: come garantirete l’effettivo diritto alle cure?

«Intanto dicendo che la sanità è pubblica, mentre in questi anni abbiamo avuto uno scivolamento verso la sanità privata. Dobbiamo ripristinare la sanità territoriale, fare in modo che il paziente venga preso in carico il più possibile vicino a casa: non lanciato come un pacco per tutta l’Isola, come succede adesso al Cup. Case e ospedali di comunità non saranno più scatole vuote, ma riempiti di specialisti. E incentiveremo i medici, per frenare la fuga verso il privato».

Altro nodo, la continuità territoriale. Quale modello auspica?

«Uno in cui si paghino gli oneri di servizio nei mesi di spalla, con minore domanda, e ci siano aiuti in deroga per gli studenti fuori sede e per chi viaggia per lavoro, ma ha interessi prevalenti in Sardegna».

Nei suoi incontri lei parla molto dei giovani. Perché?

«Sono convinta che si debba investire sulle nuove generazioni. Se ne parla spesso in modo paternalistico, ma si parla poco con loro. Chiedono istruzione, invece la Regione paga le borse di studio in ritardo. Bisogna dare loro la possibilità di fare impresa, o di trovare impieghi reali: non lavori sottopagati e sfruttamento».

Servirebbe un rilancio dello sviluppo economico, ma come si fa?

«La prima cosa è lavorare sulle leve di competitività delle imprese. Io parlo anche di continuità territoriale delle merci, perché la logistica e i suoi costi bloccano le imprese nella produzione e nell’export. Poi bisogna lavorare sull’innovazione, aiutare le imprese a uscire dalla micro dimensione. Capitolo cruciale, il digitale: a Golfo Aranci è arrivato un cavo sottomarino che dà grandi opportunità a chi voglia fare impresa digitale. Ma per creare sviluppo serve un ecosistema, in cui ci siano i campioni di filiera, le startup, la rete universitaria e così via. Vedo con molta fiducia, da questo punto di vista, il progetto dell’Einstein Telescope».

E come si può aiutare il mondo delle campagne?

«È urgente ristrutturare l’assessorato all’Agricoltura e dotarlo di competenze, nonché riformare le agenzie. Pagamenti, assistenza tecnica, innovazione: è tutto al palo. Agricoltura e allevamento possono essere occasioni vere di sviluppo, ma se chi vuole fare impresa agricola vince un bando nel 2018 e nel 2024 ancora non ha visto un euro, non si può sperare nel futuro».

Lei invece che speranze nutre, per le elezioni?

«Sono molto fiduciosa. Siamo a un bivio: tenere lo status quo, la decadenza, o scommettere sul cambiamento. E quale cambiamento migliore di una donna, per la prima volta presidente della Sardegna?»

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