Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani sono chiamati ad esprimersi sui cinque referendum approvati dalla Corte Costituzionale: quattro, proposti dalla Cgil, riguardano il lavoro e l’abrogazione di alcune parti del Jobs Act, il quinto proposto da +Europa è volto a dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana.

Seggi aperti domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15, stessi orari in cui sono chiamati alle urne 6 Comuni sardi e i Comuni italiani andati al ballottaggio dopo il primo turno delle amministrative che si è svolto il 25 e 26 maggio.

I referendum sono tutti abrogativi, viene chiesto ai cittadini se desiderano cancellare una legge o parte di essa. Barrando il “Sì” si indica il consenso alla cancellazione, barrando il “No” si lascia invariata la norma.

Ai fini della validità del referendum bisogna raggiungere il quorum, deve aver partecipato il 50% +1 degli aventi diritto. Se ci si reca ai seggi rifiutandosi di ritirare le schede, come ha annunciato che farà la premier Giorgia Meloni, non si viene conteggiati tra i votanti e non si concorre dunque al raggiungimento del quorum. Si può anche decidere di ritirare solo una scheda, o due, tre, o quattro, concorrendo dunque al raggiungimento del quorum solo per uno o alcuni quesiti.

Ma passiamo ora ai cinque quesiti e spieghiamoli, uno per uno.

1) «Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione» - La scheda è verde e recita: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».

È il “cuore” del Jobs Act del governo Renzi. Parliamo del cosiddetto contratto a tutele crescenti, che si applica ai nuovi assunti a tempo indeterminato nelle aziende con più di 15 dipendenti. In caso di licenziamento illegittimo, non c’è più il reintegro ma un indennizzo economico commisurato all’anzianità di servizio, da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Il quesito propone di cancellare la norma che consente all’impresa di non reintegrare un lavoratore licenziato anche se un giudice ritenesse illegittimo il licenziamento. Con la vittoria del “sì” questa norma verrebbe abrogata e si tornerebbe all’articolo 18, con l’obbligo di reintegro del dipendente licenziato in maniera ingiusta.

2) «Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale» – La scheda è di colore arancione e recita: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?».

Qui si chiedono invece più tutele per i lavoratori delle pmi, con meno di 16 dipendenti. In particolare si chiede di cancellare il tetto massimo di 6 mensilità di risarcimento che può ottenere un lavoratore licenziato, anche se un giudice ritenesse illegittima l’interruzione del rapporto di lavoro. Barrando il “sì”, si chiede dunque di innalzare il limite massimo di sei mensilità e lasciare che sia il giudice a decidere il giusto risarcimento, senza limiti e tenendo conto di aspetti come la gravità della violazione, la capacità economica dell’azienda, i carichi di famiglia e l’età del lavoratore.

3) «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi» – La scheda è grigia e recita: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?».

Qui si punta a limitare l’abuso di contratti a termine. Oggi si possono stipulare fino a 12 mesi senza indicare il motivo per cui si scelga un contratto temporaneo invece che a tempo indeterminato. Con la vittoria del sì verrebbe introdotto l’obbligo per le aziende di indicare causali specifiche per i contratti a termine di durata inferiore ai 12 mesi

4) «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione» – La scheda è rosa e recita: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?».

Qui si parla di salute e sicurezza sul lavoro. L’attuale normativa impedisce in caso di infortunio di estendere la responsabilità all’impresa che ha appaltato i lavori. In caso di vittoria del sì, la responsabilità verrebbe estesa anche al committente.

5) «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana» – La scheda è gialla e recita: «Volete voi abrogare l'articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?».

Qui il tema cambia, si parla dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza italiana, che in caso di vittoria del sì verrebbero dimezzati da 10 a 5 anni. Oggi una persona straniera, cittadina di un Paese extra-Ue, per chiedere la cittadinanza deve risiedere legalmente in Italia da 10 anni, come previsto dalle legge 91 del 1992. Con la vittoria del sì verrebbe cancellata quella norma e si tornerebbe al requisito introdotto in Italia nel 1865, che prevedeva che gli anni di soggiorno continuativi per poter chiedere la cittadinanza italiana fossero 5.

(Unioneonline/L)

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