Sessantacinque pagine per rigettare «il ricorso di Alessandra Todde avverso l’ordinanza-ingiunzione del Collegio Regionale di Garanzia Elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari adottata il 20 dicembre 2024 e notificata il 3 gennaio». Il Tribunale di Cagliari, con il giudice Gaetano Savona, conferma l’efficacia del provvedimento contro la presidente della Regione che ordina alla Giunta per le elezioni del Consiglio regionale di pronunciarsi sulla decadenza causata da presunte irregolarità nella rendicontazione delle spese della campagna elettorale del 2024. Una bomba che esplode in un sistema politico già instabile. 

Sciolte le riserve sull’ammissibilità in giudizio delle varie parti in causa, il Tribunale entra nel merito della vicenda.   

Al contrario di quanto sostenuto dagli avvocati della governatrice «non è ravvisabile alcuna ragione per ritenere che la disciplina di cui alla legge  515 del 1993 in punto di spese elettorali, vigilanza sulle stesse e relative sanzioni, non sia applicabile alle elezioni regionali sarde». Significa che le cause di decadenza previste per i parlamentari, previste dalla legge nazionali, sono applicabili anche in Sardegna perché la norma isolana in materia le richiama e le fa sue. 

Altri argomenti portati avanti dalla difesa di Todde: lei era candidata presidente (anche se è consigliere regionale), quindi era esente dall’applicazione della legge sulla rendicontazione. Non solo: la sua decadenza comporterebbe delle conseguenze abnormi rispetto agli obiettivi del legislatore, perché se va a casa lei va a casa tutto il Consiglio, come prevede la legge elettorale sarda (che si somma alla nazionale). In più, secondo l’opinione dei ricorrenti, «il sistema sanzionatorio dovrebbe essere frutto di una specifica e consapevole scelta del legislatore, che nel caso di specie non sussisterebbe». 

Il Tribunale «non condivide la tesi». Per i giudici di piazza Repubblica «colui il quale si candidi al ruolo di presidente della Regione si sta candidando anche a quello, distinto, di consigliere regionale. Il fatto che la candidatura avvenga attraverso un meccanismo elettorale distinto rispetto agli altri consiglieri, non elide tale circostanza». La normativa in materia di spese elettorali, «infatti, è posta a presidio della trasparenza e del controllo non solo delle spese che ciascun candidato ha effettuato nella competizione elettorale, ma anche delle relative fonti di finanziamento». Con specifico riferimento al candidato presidente «poi, deve poi aggiungersi che il presidio di trasparenza deve essere particolarmente pregnante». Chi ha scritto le norme, prosegue ancora la sentenza, non è uno sprovveduto che non poteva aver pensato alle conseguenze della legge, che nel suo combinato disposto tra nazionale e regionale prevede il tutti a casa per i consiglieri regionali: «Non può pensarsi che ciò sia il frutto di una svista del legislatore, che non avrebbe tenuto in conto le conseguenze della violazione da parte del presidente della Regione delle disposizioni in materia di spese elettoral»i.
«La legge statutaria», spiega il giudice, «richiama le leggi statali in punto di incompatibilità, ineleggibilità e decadenza, è stata adottata quando la forma di governo era già quella attuale e la legge regionale n. 1 del 1994 era in vigore. Non è quindi possibile ipotizzare che il legislatore fosse inconsapevole delle conseguenze ricollegate per sua espressa volontà alla decadenza, per qualunque ragione, del Presidente della Regione». 

La sentenza tratta anche un altro punto del ricorso: le cause di decadenza sarebbero  «solo ed esclusivamente la mancata presentazione della dichiarazione di cui all’art. 7, comma VI (la rendicontazione, ndr) e il superamento del tetto di spesa (peraltro non applicabile al candidato presidente)». E Todde aveva dichiarato (in prima battuta) di essersi avvalsa solo di fondi messi a disposizione dal partito. O meglio, dal comitato elettorale del M5s. 

La sentenza stabilisce che «deve disattendersi la tesi della dott.ssa Todde secondo la quale non sarebbe stata tenuta alla presentazione della dichiarazione di spesa e del proprio rendiconto in ragione della circostanza che tutte le spese della sua campagna sono state sostenute dal Comitato Elettorale Movimento Cinque Stelle». Inoltre si  «evidenzia che il Comitato elettorale M5S non è il partito o la formazione politica della cui lista ha fatto parte la dott.ssa Todde». Qui entra in gioco la trasparenza: secondo il Tribunale «la logica della disciplina è da rinvenire nell’esigenza di garantire la trasparenza (e la conseguente possibilità di controllo) delle fonti di finanziamento dei soggetti che prendano parte alle elezioni. Tutte le interpretazioni della normativa di segno contrario, e che quindi legittimino strutture e organizzazioni che creano (o rischiano di creare) opacità, sono contrarie alla logica seguita dal legislatore». Quindi «ritenendo che un comitato sia cosa analoga al partito o alla formazione politica che abbia presentato una propria lista, significa legittimare un meccanismo che rende difficoltoso, se non impossibile, l’effettivo controllo dei finanziamenti e delle spese dei candidati». 

Smontata la tesi difensiva, il Tribunale sostiene che «la ricorrente era tenuta alla presentazione della dichiarazione di spesa e del rendiconto (...)» perché «ha ricevuto i fondi per le spese elettorali dal Comitato, soggetto che non rientra nel novero dei partiti o delle formazioni politiche della cui lista ha fatto parte». 

La conclusione? «Deve dirsi che il fatto addebitato alla ricorrente è nitido ed è costituito dal non aver presentato la dichiarazione di spesa e il relativo rendiconto». E «anche la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, nell’ipotesi di deposito materiale di una dichiarazione e di un rendiconto che tuttavia siano giuridicamente inesistenti, la contestazione del Collegio di Garanzia Elettorale sia quella di mancato di deposito tout court». Insomma: il rendiconto di Todde non esiste. 

Dalle circostanze analizzate «e, in particolare, dal fatto che la ricorrente abbia ricevuto fondi non dal partito o dalla lista di appartenenza, discendono gli obblighi in capo alla stessa anche di nomina del mandatario, apertura di un conto corrente dedicato alla ricezione dei fondi e alle spese della campagna elettorale, sottoscrizione e asseverazione del rendiconto da parte del mandatario, e produzione dell’estratto del conto corrente bancario o postale». Cose che Todde non ha fatto. 

Le violazioni, emerge, «non sono mere irregolarità o vizi formali, ma sono violazioni sostanziali e gravi (oltre che plurime), in quanto disattendono integralmente la disciplina in materia di spese elettorali, rendendo impossibile verificare con sicurezza i fondi ricevuti dalla ricorrente, il soggetto finanziatore e l’impiego delle somme». 

Il Tribunale rigetta quindi il ricorso ma precisa: non spetta a noi pronunciare la decadenza, ma al Consiglio regionale. Come si sapeva fin dall’inizio. 

La Giunta per le elezioni dell’aula aveva già annunciato di voler attendere fino alla Cassazione. Se la baracca regge dopo una botta come quella ricevuta questa mattina.

Per luglio, intanto, è attesa la sentenza della Corte costituzionale. La partita si gioca anche lì: Todde ha presentato ricorso contro lo Stato. Sostiene che un organo nazionale – il Collegio regionale di garanzia elettorale – non possa ingerire sulle attività del Consiglio regionale protetto dallo Statuto, norma di rango costituzionale. 

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