Non le piace vincere facile. Lo dice la sua storia e lo dicono le sue idee. Maria Del Zompo ha una sfilza di “già” nel suo curriculum che adesso vorrebbe impreziosire entrando in Senato.

In un mondo, inutile negarlo, al maschile lei è già docente universitaria (farmacologia), già rettore dell’Ateneo di Cagliari (la prima nella storia), già direttrice di Scuole di specializzazione, già “Donna dell’anno” e con in tasca altri svariati riconoscimenti, già componente di una decina di progetti di ricerca, già organizzatrice di convegni di livello mondiale, già scrittrice per numerosi giornali scientifici, già membro di società scientifiche e già componente del Consiglio Superiore di Sanità. Da giorni sta girando in lungo e in largo l’Isola come candidata al Senato per il Partito democratico nel collegio unico e per il centrosinistra in quello uninominale.

Ma scusi, chi glielo fa fare?

«Lo spirito di servizio. Ritengo, in questo momento, un dovere prestare opera in Parlamento e salvaguardare i diritti di tutti, e quindi del Paese».

Ritiene quindi che in caso di vittoria del centrodestra questi diritti verranno cancellati?

«Non amo le polemiche, si figuri se ne accendo. Però il rischio è molto alto».

Uno di questi diritti è quello alla salute? A proposito, come sta la sanità?

«Un diritto sancito dalla Costituzione, quindi il diritto di un sardo è lo stesso di chi abita in qualsiasi altra regione. Diciamo che esistono livelli essenziali che devono essere assicurati a tutti, senza distinzioni, e in Sardegna questo non sta accadendo. Il problema sta nell’organizzazione che si basa su scelte politiche. In linea generale dobbiamo smetterla di pensare ai fondi come delle variabili di spesa, che si possono modificare. La proposta mia, e del Pd, è prima di tutto di fissare una percentuale sul Pil diretto alla sanità: oggi è del 6,4%, noi lo vogliamo portare al 7. Percentuale fissa che può solo crescere. Ancora, rivedere le decisioni prese dal centrodestra che hanno portato al blocco del turn over e che di fatto hanno diminuito le prestazioni del pubblico a favore del privato. Non ho nulla contro il privato, ben inteso, ma servizi e strutture, non solo nel mondo della sanità, devono rimanere pubbliche».

Esiste però anche un problema di personale.

«Certo, bisogna aumentare le assunzioni mirate alle professionalità e ai giovani. Ma non si faccia il discorso di università a numero chiuso da rivedere perché si dà una soluzione banale a un problema complesso».

Pare però che sia un male della sanità sarda.

«Il problema in Sardegna è legato alla difficoltà di organizzare i servizi nel nostro territorio, che è vasto, e che ha di per sé altri problemi come i trasporti interni. È fondamentale quindi formulare un Piano sanitario specifico che, insisto, garantisca i livelli essenziali di assistenza e nello stesso tempo salvaguardi le eccellenze, che ci sono. Insomma, si studino opportunità e criticità dei territori e si individuino le priorità per ciascuno. Per fare questo è fondamentale interagire con il mondo sanitario, sindacati, amministratori locali, associazioni».

Un’opera mica semplice.

«Beh, intanto non si perde mai tempo quando si ascolta. E poi i progetti si possono fare “modulari” e portarli avanti quando i fondi ci sono. Infine abbiamo la grande opportunità dell’insularità che può aiutarci».

Diritto all’istruzione.

«Insieme alla sanità è la vera priorità. Nel nostro programma è prevista la gratuità dall’asilo e fino ai 18 anni e oltre. Sappiamo quanto sia fondamentale l’apprendimento nei bambini piccoli, solo che secondo i dati Ocse mentre negli altri Paesi si inizia a 2/3 anni da noi si parte un anno dopo. E quell’anno perso non lo recuperiamo più. Quindi, metodo nuovo ma anche stipendi equiparati ai livelli europei, di docenti e tutto il personale scolastico. Edifici “belli” e con un occhio di riguardo allo sport. E che sia chiaro: queste non sono “semplici” spese ma investimenti sui nostri ragazzi, molti dei quali oggi faticano perché non capiscono l’italiano scritto. Così come è fondamentale arrivare ad una laurea e a un dottorato di ricerca: secondo gli ultimi dati Ocse l’Italia è l’unico Paese con il 100% di occupazione femminile per chi acquisisce un dottorato di ricerca. Mi faccia dire che purtroppo nell’Isola mancano i “nuovi mestieri” che si possono avere solo con studi adeguati. L’università sarda sostiene l’innovazione ma le chiedo: ha mai visto un’azienda agricola, o di pesca, che utilizza l’intelligenza artificiale? Ci sono fondi europei destinati alla formazione per nuove tecnologie, sfruttiamoli».

Dall’Isola però i giovani scappano, e lo spopolamento è un’emergenza.

«Bisogna avere un progetto che guardi il problema nel suo insieme. Mancano infrastrutture, servizi ma anche appunto nuovi mestieri. Anche qui, l’ascolto è fondamentale: dobbiamo parlare con i sindaci per costruire progetti che garantiscano servizi per più comunità garantendo ovviamente i trasporti pubblici tra centri. Fare rete è fondamentale. Poi asili, spazi per anziani, aree ludiche, fibra ottica. Insomma servono studi che guardino opportunità e criticità e che diano soluzioni adeguate anche per le imprese».

Insularità.

«Scontato dire che va riempita. Come? Con le leggi che sono in fase di attuazione, qualsiasi siano. I parlamentari sardi dovranno essere sentinelle attente nell’analizzare tutti i provvedimenti che si stanno assumendo. O, meglio, tutti i criteri con i quali vengono applicate le leggi. Ma sono sicura che questo sarà un compito che tutti gli eletti faranno. Per me sanità e istruzione sono le prime che devono essere messe in gioco sul versante insularità. Ma anche spopolamento e continuità territoriale».

Michele Masala

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