Duro colpo per il fu Capitano Verde. Il nove luglio, la Corte Costituzionale, con riferimento specifico al divieto di far iscrivere i migranti all’anagrafe comunale contenuto nel primo Decreto Salvini, ha rilevato, su precisa sollecitazione dei Tribunali di Milano, Ancona e Salerno, una duplice violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Quella specifica disposizione contestata, infatti, come lamentato dai Tribunali richiamati, “non (avrebbe) agevola (to), (né agevolerebbe), il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate nel (lo stesso) decreto sicurezza, e (avrebbe altresì) provoca (to) una (gravissima) disparità di trattamento” siccome avrebbe reso, come di fatto ha reso, “ingiustificatamente più difficile” per i richiedenti asilo “l’accesso ai servizi… ad essi garantiti”. Di conseguenza, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha provveduto con maggiore determinazione, e andando addirittura oltre i rilievi della Corte, alla modifica radicale di quegli infausti provvedimenti reintroducendo, tra l’altro, per un verso, la protezione umanitaria per i migranti e cancellando, per altro verso, le multe esorbitanti a carico delle imbarcazioni Ong.

Sul piano formale, come su quello sostanziale, dunque, gli interventi in modifica hanno consentito il ripristino della legalità in un ambito particolarmente controverso, sia per i suoi riflessi diretti e immediati sul tessuto sociale di un Paese già gravemente sofferente sul piano economico, sia per essere stato, quello stesso ambito di indagine, in siffatta condizione di persistente sofferenza economica, ingiustamente strumentalizzato ai soli fini elettorali per alimentare un conflitto inutile e doloroso tra disagiati “autoctoni” e disagiati “pellegrini del Mondo”.

Ma, anche a voler prescindere dall’importante intervento normativo in funzione riequilibrante, al giorno d’oggi, può dirsi radicata una cultura ispirata alla accoglienza dello straniero e/o alla protezione del perseguitato? Esiste un vero e proprio diritto di trasmigrare? Perché proprio all’interno dei sistemi democratici moderni ha potuto radicarsi l’insofferenza e il senso del disprezzo per i “diversi” e per gli oppressi che la pericolosissima e fuorviante propaganda populista ha voluto raffigurare come il “male assoluto” da combattere e contrastare “senza se e senza ma”? Il diritto di migrare può ancor oggi qualificarsi in termini di diritto disequilibrato e/o asimmetrico, come definito dai principali studiosi del fenomeno? Possiamo affermare che sarebbe necessario costruire un Nuovo Ordine Globale comprensivo financo del Popolo dei Migranti?

Gli interrogativi proposti sono sicuramente idonei a suscitare in ciascuno di noi reazioni variamente differenti e complesse, ma credo che la questione migratoria vada affrontata una volta per tutte con la serietà necessaria se davvero vogliamo imparare a convivere con un fenomeno umano che, volenti o nolenti, già ci coinvolge profondamente specie in ragione della contemporanea e paradossale presenza/assenza di un impianto normativo ancora gravemente insufficiente a governarlo adeguatamente. Intanto, perché è lapalissiano oramai, benché sia più semplice ignorare la circostanza, che l’esistenza stessa di una cultura dell’accoglienza come pure di una cultura della tutela del rifugiato, purtroppo ancora entrambe tragicamente menomate, è strettamente correlata alle forme di esercizio di una “governance” che, probabilmente, ben lungi, come più volte sottolineato, dal poter continuare ad essere espressa in termini di “emergenzialità”, non può neppure essere lasciata alla sola competenza del ministero degli Interni, ma dovrebbe piuttosto essere estesa anche a quella più specifica di eventuali opportuni costituendi distaccamenti ad hoc, per così dire, financo dotati di una propria autonomia economica e funzionale, che operino parallelamente alle Istituzioni in funzione di completamento delle stesse.

Quindi, perché, se è vero, come è vero, che esiste, e altrimenti non potrebbe essere, un diritto ad emigrare allorquando le condizioni politiche, sociali ed economiche del proprio Paese di provenienza non siano idonee a garantire lo svolgimento di una vita serena, tuttavia, è altresì altrettanto vero, e non va dimenticato, che esiste parimenti un analogo diritto a non emigrare di cui dovrebbe farsi primordiale garante l’intera Comunità Internazionale attraverso interventi mirati, da una parte, a favorire la pace sociale e lo sviluppo economico delle aree maggiormente critiche e mirati, dall’altra, ad evitare e condannare severamente le pratiche di approvvigionamento di armamenti utili, fin’ora, solamente ad alimentare guerre intestine e prevaricazioni di vario genere. Inoltre, perché, purtroppo, ancora oggi, non può ritenersi esistente e sussistente, e quindi scontato, un diritto ad immigrare, ovverosia a ottenere l’accesso incondizionato in un altro Paese di destinazione, il quale, per diritto pari e contrario, deve, a sua volta, attraverso i suoi rappresentanti e le sue istituzioni, calibrare (e qui sta il fallimento della propaganda Salviniana) la gestione del fenomeno migratorio alle esigenze della comunità locale armonizzandole opportunamente, di modo che, in buona sostanza, i diritti sacrosanti degli “uni” non vadano a comprimere quelli, altrettanto indiscutibili ed incomprimibili degli “altri”. Poi, perché, benché si tratti di una verità scomoda per una società che sembra ambire a presentarsi come ipocritamente buonista, non può più negarsi, considerato pure che le vicende quotidiane ne offrono costantemente dimostrazione, che il diritto alla mobilità nell’area Nord e nell’area Sud del Mondo appare, come da più parti lamentato, tragicamente disequilibrato a favore della prima per non essere, il medesimo diritto, universalmente riconosciuto a livello globale a tutti gli esseri umani indistintamente. Ancora, perché tra i fattori decisamente impedienti il pieno rispetto, in questo caso, dei diritti dei migranti anche nel circuito delle nostre Democrazie avanzate, vi è sicuramente il progressivo diffondersi dell’ideologia populista, dell’esaltazione incontrollata di uno stropicciato senso di “comunità di popolo”, come viene normalmente definito, contrapposta tanto alle “elites” quanto ai “diversi” e “marginalizzati”, immigrati in particolare. Infine, perché, come scrive saggiamente Catherine Wihtol de Wenden, “il diritto di emigrare, che è anche diritto alla mobilità internazionale, implica la definizione di una cittadinanza al di fuori dei confini, deterritorializzata” (“Il diritto di migrare”) che impone necessariamente l’elaborazione di un Nuovo Ordine Mondiale improntato, per usare le parole del Presidente del Senegal Macky Sall, su un cambiamento di “paradigma” “che ponga la persona umana e l’umanità al centro della governance globale”.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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