Obiettivo del Governo Meloni sarebbe ora quello di cancellare la cosiddetta “protezione speciale”, siccome a sentire Nicola Molteni, sottosegretario all’Interno in forze alla Lega, «cre (erebbe) le condizioni per l’irregolarità». Infatti, finora, il permesso di soggiorno per protezione speciale sarebbe stato concesso nei casi in cui la Commissione Territoriale non riconoscesse allo straniero richiedente asilo né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, ma, comunque ricorressero i presupposti utili a garantire protezione alla persona dall’espulsione o dal respingimento verso uno Stato in cui potesse essere oggetto di persecuzione o vi fossero fondati motivi di ritenere che lo straniero, in caso di espulsione, rischiasse di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, allargando di fatto le maglie dell’accoglienza. Il tutto senza considerare che negli anni passati i decreti Salvini, che ad onor del vero, a dispetto dell’alleato il Presidente del Consiglio dei Ministri non vorrebbe far rivivere, si erano già manifestati per essere totalmente inefficaci, poiché sarebbero stati semmai idonei a determinare le condizioni favorenti una maggiore irregolarità, che, paradossalmente, è di fatto il problema che affermavano di voler risolvere. Intendiamoci allora primariamente su un punto: se la protezione speciale, al di là di ogni annuncio pure propagandistico nella sua forma, dovesse essere realmente accantonata nel contesto del progetto di governo, allora la circostanza si ripercuoterebbe sia sui richiedenti asilo stessi, che vedrebbero violati i propri diritti fondamentali, che sulla nostra collettività nel suo complesso, la quale, e per tutta evidenza, non potrebbe ritrarre alcun beneficio dalla presenza di persone lasciate al loro destino, impossibilitate a ricoprire un ruolo attivo e fattivo nella società. Il nostro Presidente del Consiglio, stando a quanto riportano i media, avrebbe detto che finora l’Unione Europea starebbe facendo confusione nella distinzione tra irregolari e profughi, senza considerare, e a ben riflettere, che, in realtà, la questione sembrerebbe porsi in maniera più complessa rispetto a quella rappresentata dalla leader di Fratelli d'Italia.

L’Europa è da sempre il capro espiatorio comodo allorquando, e il Governo Meloni non pare fare eccezione, sul piano interno, non si riesca a gestire politiche spinose che incidono fortemente sull’opinione pubblica determinando spostamenti importanti dell’ago della bilancia elettorale e dell’indice di gradimento. Se l'Europa, stando alle richieste della Meloni, dovesse operare una netta distinzione, necessariamente a priori, tra profughi e migranti irregolari, e se davvero si potesse distinguere il parametro dell'accoglienza di “profughi” e “rifugiati” rispetto a quello applicato per le restanti politiche migratorie concettualmente riconnesse all’esplicazione di esigenze economiche, si agirebbe comunque a discapito proprio dei soggetti maggiormente critici in ragione delle contingenti necessità accertative che non potrebbero che essere sommarie, ed in quanto tali, imprecise e discriminatorie. Da ultimo, Giorgia Meloni, nella propria visita in Etiopia, ha rappresentato il proprio intendimento programmatico: rafforzare il ruolo strategico dell’Italia nel Corno d’Africa e sostenere economicamente il Paese, per cercare di limitare le partenze dei migranti. Mutatis mutandis, l’unico vero obiettivo, a conti fatti, sembrerebbe essere quello di eliminare in radice ogni ipotesi di arrivo sulle coste italiane. Ma il cosiddetto Piano Mattei così caro a Giorgia Meloni, può realisticamente considerarsi a tutt’oggi attuale considerato che lo stesso risale agli anni Sessanta, allorquando l’Italia viveva un momento importante di crescita sul piano economico che oggi non è possibile registrare? Può realmente costituire la soluzione utile a gestire situazioni che, rispetto al momento della sua prima elaborazione, hanno chiaramente subito considerevoli trasformazioni in senso strutturale? Ma non sarebbe più utile per tutti se il Governo elaborasse un proprio piano originale e personalizzato, da presentare all’Europa, per la gestione comune di un’emergenza oramai strutturale e quindi non più tale? Le risposte sono come sempre immediatamente conseguenti. Intanto, perché, con buona pace del Presidente del Consiglio dei Ministri, il perseguimento dell'obiettivo finalizzato al rafforzamento della cooperazione con il Paese africano per rilanciare la presenza italiana nel Corno d'Africa e cercare di bloccare le partenze dei migranti nella rotta del Mediterraneo, lungi dall’essere immediato, sembrerebbe richiedere a sua volta la elaborazione di un progetto giuridico che lo tenga al riparo da ogni potenziale violazione di divieti ineludibili, quali quelli riconnessi alle ipotesi di “respingimento” sia pure indiretto. Quindi, perché se l'intenzione, tutt’altro che originale, è proprio quella di sostenere economicamente l'Etiopia, nel tentativo appunto di disincentivare le persone a lasciare il Paese, allora, forse, si trascurerebbero altre circostanze parimenti rilevanti e direttamente riconnesse anche alla pura semplice libertà di movimento. Inoltre, perché, se davvero l'Etiopia si caratterizza per essere uno degli Stati africani prioritari per la Cooperazione italiana, lo sarebbe all’evidenza per rendere l'Italia il più importante hub energetico dell'Unione europea, ammesso e non concesso che questo possa accadere a stretto giro, e ammesso e non concesso, che nel tempo, la stessa Etiopia, rimanga disponibile in tal senso e lo faccia a condizioni apprezzabili. Infine, perché, con buona pace del nostro “premier”, il riferimento al fondatore dell'Eni (Mattei) non vale quale garanzia di successo, posto che siffatto Piano, ideato da Mattei negli anni sessanta, presupponeva una stretta cooperazione nel circuito del mercato petrolifero dominato dalle allora grandi compagnie e che fosse sorretto da un rapporto diretto tra Paese produttore e Paese consumatore nel contesto del quale l'Eni avrebbe consentito a queste Nazioni di conservare per sè ben il 75% degli introiti. Condizione ad oggi probabilmente non perseguibile considerata la crisi in atto.

Insomma, anche a tutto voler considerare, a livello governativo non parrebbe esservi ancora una idea precisa, un Piano davvero contingibile da portare avanti con determinazione sulla via del cambiamento.

Nonostante tutto, a livello europeo il Governo Meloni non è riuscito ad essere determinante, e solo un fattore continua ad apparire nella sua incontestabile certezza: i migranti devono permanere nei Paesi di primo ingresso e bisogna fermare i movimenti secondari.

Giuseppina Di Salvatore – avvocato, Nuoro

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