Mario Draghi, che pure ha ancora i numeri in Parlamento per andare avanti, si è dimesso ieri dopo essere stato sfiduciato dal Movimento 5 Stelle. Dimissioni respinte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha invitato il presidente del Consiglio “a presentarsi in Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata”.

Un invito a parlamentarizzare la crisi insomma, visto che ieri Draghi ha comunque ottenuto un’ampia fiducia sul dl Aiuti, 172 sì, ben oltre la maggioranza assoluta di 158 richiesta a Palazzo Madama.

Mercoledì è il giorno in cui Draghi si presenterà in Parlamento, sono quattro gli scenari che si prefigurano dopo la crisi aperta dai 5 Stelle.

IL RITORNO ALL’OVILE DI CONTE

È lo scenario meno plausibile. Il Movimento 5 Stelle si è spinto troppo oltre e sarebbe una mossa davvero assurda e sgangherata quella di fare marcia indietro e votare la fiducia a Draghi, che resterebbe dunque in carica con lo stesso esecutivo o magari con un mini rimpasto. Farebbe perdere ogni credibilità a Giuseppe Conte. 

È la soluzione che auspicano Pd e LeU, e un piccolo spiraglio c’è: i 5S non hanno ritirato i loro ministri; e in molti, tra i pentastellati, rimarcano come il voto di ieri riguardi il singolo provvedimento del dl Aiuti. Di certo nei 5 Stelle è in corso un dibattito – per non dire scontro – molto serrato e non è da escludere un’altra diaspora dopo quella innescata da Luigi Di Maio.

DRAGHI BIS SENZA M5S

L’ipotesi che piace ai centristi. Da Renzi a Calenda, passando per Forza Italia e Giovanni Toti.

Mario Draghi va in Parlamento, si impegna chiaramente su pochi punti per andare avanti sino a fine legislatura con l’appoggio di tutti i partiti dell’attuale maggioranza esclusi i 5 Stelle. E forma un nuovo governo, o composto esclusivamente da persone di sua fiducia o, come quello attuale, in parte politico in parte tecnico.

I numeri ci sono, ma non c’è la volontà. A partire dallo stesso Draghi, secondo cui la rottura 5S fa cade il patto alla base del suo governo. “La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c'è più”, ha detto ieri in Cdm. Il premier, con la Lega che acquisirebbe forza, rischierebbe di dover sottostare ai diktat di Salvini con la nuova formula.

Formula che non piace neanche al Pd, in quanto sposterebbe troppo a destra l’asse della maggioranza. E la stessa Lega (perlomeno la parte “salviniana”, perché sono diverse le sensibilità del Carroccio) non ci sta a concedere mesi di opposizione a Conte continuando a sostenere il governo. Tanto che Salvini, insieme a Meloni, è stato il primo ad invocare elezioni.

Ma la politica insegna, e questa legislatura ancor di più, che certe dichiarazioni invecchiano nel giro di pochissimi giorni. Mai dire mai…

UN ALTRO GOVERNO

Un nuovo governo di unità nazionale che gestisca le varie emergenze, approvi la finanziaria e accompagni a nuove elezioni che ci sarebbero a questo punto tra febbraio e marzo, poco prima della scadenza naturale della legislatura.

Mattarella potrebbe fare l’ennesimo disperato appello ai partiti, motivandolo con la crisi internazionale, il riacutizzarsi della pandemia, l’inflazione che galoppa ed erode gli stipendi degli italiani. 

In quest’ottica rispunta, puntuale e buono per tutte le stagioni, il nome del presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato.

ELEZIONI ANTICIPATE

Draghi resta in carica per il disbrigo degli affari correnti fino a settembre-ottobre, quando ci saranno le elezioni anticipate. E bisogna sperare che dal voto esca fuori una chiara maggioranza, perché nel 2018 passarono oltre due mesi tra elezioni e nascita del governo. Se si dovessero ripetere quelle lunghe ed estenuanti trattative, si andrebbe in esercizio di bilancio provvisorio senza i tempi per approvare la finanziaria.

(Unioneonline/L)

© Riproduzione riservata