Ma ha ancora un senso, oggi, continuare anche solo a discutere del conflitto in Ucraina, della necessità di garantire quest’ultima dagli esiti funesti di una “operazione militare speciale” già scritti nel loro doloroso epilogo ed i cui effetti, a larga scala intesi, hanno contribuito, e contribuiscono in maniera prepotente, a trascinarci tutti in un baratro senza fondo?

Forse è solo una mia impressione, ma non posso fare a meno di rilevare che la società civile, quella che quotidianamente si ritrova a fare i conti con la quotidianità e con tutte le sue difficoltà di carattere economico e sanitario, comincia a manifestare un certo senso di stanchezza e di insofferenza verso tutto ciò che, in qualunque modo, contribuisce ad accrescere il senso, già presente, di instabilità interna ed internazionale. E Volodymyr Zelensky, con le sue rivendicazioni, con il pressing condotto a ritmo serrato sull’Occidente e sui suoi debolissimi leader, parrebbe profilarsi, agli occhi di popolazioni stanche e affaticate dal trascorso biennio pandemico, quasi alla stregua di un paradigmatico “elemento di disturbo” da archiviare quanto prima.

Se la mia impressione avesse, come ritengo abbia, un forte senso di verosimiglianza, allora non si tratterebbe di puro e semplice egoismo, ma solo di sano e comprensibile senso di sopravvivenza di comunità, quelle europee soprattutto, sempre più convinte, e probabilmente a ragione, che i propri governi, forse per la propria manifesta incapacità ed inettitudine, siano troppo attenti alla guerra e alle necessità dei cosiddetti “aggrediti” a tutto discapito del benessere dei propri amministrati e delle loro necessità contingenti.

Anche a voler tutto concedere e/o comprendere, sono certa, e non credo di incorrere in errore, che quel che resta del teatrino politico italiano ed europeo finirà per pagare lo scotto di ogni ulteriore adesione imprudente alle ragioni di un conflitto “terzo” nel contesto del quale “nessuno”, e dico “nessuno”, pare essersi seriamente impegnato nella ricerca della pace.

Intendiamoci, tuttavia, onde evitare equivoci ed interpretazioni distorsive. I problemi si rivelano tutti sul piano della dialettica e dello scambio verbale tra popoli i cui contenuti, lungi dall’esprimere, semmai, l’atteggiamento comprensibilmente solidale verso la popolazione ucraina, costretta suo malgrado a lasciare la propria terra e le proprie case, si rivela in tutto il suo opportunismo strumentale quale “mezzo” immaginifico per cercare di sconfiggere la Russia sia pur non vedendosi “come” e “perché”. Una pia illusione, è evidente, che parrebbe tornare utile solo a mistificare una realtà troppo scomoda da ammettere prima ancora che da raccontare. Ossia quella per cui, mutatis mutandis, l’Unione Europea è con buona verosimiglianza la grande sconfitta di una battaglia voluta “altrove” sol per tentare di saziare gli appetiti di “chissà chi” che abbia un qualunque interesse a fare del “divisionismo nazionalistico” uno strumento di espansione crescente. E non a caso certamente.

Intanto, perché le crisi che paiono agitare i governi dei Paesi dell’Unione, quello italiano compreso, sono il segnale evidente del fatto che la pretesa unità solidaristica lungi dal poter essere data per scontata comincia a scricchiolare sotto il peso del malessere economico e sociale. Quindi, perché, malgrado sia amaro ammetterlo, la Russia, sola contro tutti, è riuscita a portare avanti, silenziosamente, quasi sotto traccia, una manovra latente di destabilizzazione delle politiche interne ai paesi dell’occidente, uniformi sulla carta, e solo sulla carta, ma irricevibili sul piano pratico. Infine, perché il tanto sbandierato trionfalismo dei governi, faticosamente concentrati nel descrivere la “vittoria” che non c’è, costituisce unicamente il solito specchietto per le allodole da sfoderare all’occorrenza per riflettere una realtà “altra” rispetto a quella effettiva nell’ambito della quale, se l’Ucraina deve davvero vincere (e dovremo intenderci sul significato della vittoria se davvero di vittoria possiamo parlare), allora dovrebbe (ma non può) farlo in fretta indicando i termini della eventuale pace. Se non è utopia questa ditemi voi cos’altro può essere.

La verità è piuttosto una e una soltanto: i costi del sostegno all’Ucraina sono oramai insostenibili, la partecipazione emotiva ad un conflitto che in alcun modo ci appartiene è scemata grandemente fino a tramutarsi in fastidiosa insofferenza, e quel che è peggio, è che tutto questo era oltremodo prevedibile e ciò nonostante, il preteso governo dei migliori, guidato da Mario Draghi, ha voluto darvi seguito del tutto incurante delle ripercussioni di carattere economico e socio esistenziale che siffatta cieca adesione avrebbe recato con sé.

Ma siamo davvero sicuri che sia necessario sentirci costretti a corrispondere un prezzo così salato per salvaguardare la nostra sicurezza e le nostre democrazie? Ma siamo sicuri che le conseguenze economiche di questo conflitto, che stiamo subendo in misura piena, rappresentino il prezzo della nostra libertà?

La risposta credo sia immediatamente conseguente, e non è certo necessario scomodare il “Genio della Lampada” per comprendere che certe “narrazioni” non reggono più siccome schiacciate dal peso della crescente “polarizzazione” rispettivamente esistente tra Paesi Europei e tra questi ed i loro rispettivi governi. È appena il caso di osservare che comincia a crescere la spaccatura tra i cosiddetti “pacifisti”, additati come “filo-putiniani”, i quali auspicherebbero un intervento europeo finalizzato a mettere fine al conflitto quand’anche questo dovesse comportare quasi una resa di Kiev alle ragioni di Mosca, ed i cosiddetti “giustizialisti”, convinti del fatto che la Russia debba pagare (sia pure non si veda come), e senza sconti, il prezzo di una invasione ingiusta.

A conti fatti, l’unica certezza sembra essere che la tanto famigerata “unità europea” è andata consumandosi definitivamente e sono sempre più forti, al contrario, le spinte centrifughe e centripete presenti al suo interno e dirette ad incentivare un importante cambio di passo finalizzato a porre rimedio a due massime preoccupazioni contingenti: quella relativa al costo della vita e quella, non meno importante, relativa alla minaccia dell’utilizzo delle armi atomiche da parte della Russia.

L’Unione Europea si trova di fronte ad un bivio perché rischia di trovarsi schiacciata rispetto alle pressioni provenienti tanto da Ovest quanto da Est. Lo scontro geopolitico si gioca a tutto tondo e occorre decidere in tempo utile quale posizionamento intraprendere se davvero vuole ricoprire un ruolo autonomo e tutelare le proprie popolazioni dagli effetti più o meno mascherati di una triplice colonizzazione: quella americana, quella russa e quella cinese. Ma intanto la società civile patisce, e patendo si rivela sempre meno disposta a reggere il peso politico ed economico del conflitti tanto in Italia quanto nel resto d’Europa.

Giuseppina Di Salvatore – avvocato, Nuoro

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