Gli esiti dello scontro politico degli ultimissimi tempi tra maggioranza e opposizione di Governo, chiamate a confrontarsi nel breve termine nel contesto di talune tornate elettorali di tutt’altro che di scarsa rilevanza, sembra doversi decidere sul terreno della materia sanitaria in riferimento al quale il sentire comune appare quanto mai intenso ed attento consideratane la essenzialità.

Non solo, e non tanto, per le da più parti lamentate carenze strutturali del comparto, emerse, sembrerebbe, in tutta la loro evidenza nel periodo pandemico e post-pandemico, ma anche per la organizzazione strumentale dello stesso tra pubblico e privato.

Se da una parte Elly Schlein (quale leader indiscussa, si potrebbe affermare, della Sinistra in tutta la sua composita consistenza) sembrerebbe lamentare tanto l’insufficienza dei fondi stanziati quanto la impostazione organizzativa tendenzialmente rivolta alla privatizzazione, Giorgia Meloni, dal canto suo, pur nell’ammettere che i fondi alla sanità, sia pure riconosciuti finora dal proprio Governo in maniera consistente, in linea di principio parrebbero non bastare mai in considerazione della rilevanza del settore di riferimento, ad essere chiaro per il cittadino sembrerebbe essere un dato incontrovertibile, ossia quello per cui la sanità, a prescindere dalle diverse posizioni in campo, debba essere comunque pubblica siccome, trattandosi di un diritto costituzionalmente ed universalmente garantito, quello alla salute si intenda, sembra non potersi in alcun modo trovarsi costretti a rinunciare alle cure quando ci si trovi in un modo o nell’altro costretti a usufruire di prestazioni sanitarie a pagamento.

Intendiamoci: la crisi della Sanità Pubblica sembra percepirsi fortemente, e probabilmente soprattutto al Sud, laddove tanti cittadini sono spesse volte costretti a spostarsi in altre Regioni del Nord alla ricerca di centri all’avanguardia ed evidenziando, così, un aspetto rilevante del problema nel suo complesso, ossia quello legato alla territorialità ed alle pur presenti carenze strutturali delle organizzazioni di riferimento.

Intanto, perché, come da più parti sottolineato, il Paese parrebbe necessitare di un organico impianto sanitario di prossimità, quindi idoneo a garantire prestazioni sanitarie prontamente fruibili da tutti i cittadini indistintamente in loco. Quindi, perché, anche a tutto voler considerare e concedere, la esigenza da soddisfare con la massima sollecitudine, parrebbe essere quella di poter fare affidamento su uno Stato e su una Regione di riferimento in base alla provenienza di ciascuno, che siano disponibili alla comune e concordata cooperazione utile ad assicurare livelli e quantità di prestazioni combinate e finalizzate, nel loro complesso, a vincere il divario ancora oggi esistente tra il Nord ed il Sud del Paese, ma anche tra il centro e la periferia del Paese medesimo anche all’interno delle sue articolazioni territoriali.

Infine, perché, anche al di là ed oltre lo scontro fisiologico persistente tra Maggioranza ed Opposizione, la sanità prossima e ventura non potrà non essere pubblica, fortemente partecipata sul piano istituzionale, opportunamente finanziata oltre che efficientemente strutturata sul piano delle risorse professionali umane. Tanto più allorquando, nella ipotesi contraria, il rischio si presenti in tutta la sua materialità: quello, cioè, inerente la generale disaffezione verso le istituzioni nel loro complesso, avvertite come inadeguate nel tradurre le esigenze del territorio in provvedimenti e misure utili. Ed ancor di più allorquando, sia emersa in tutta la sua lapalissiana consistenza la esigenza di assicurare la salute, strictu sensu intesa, come diritto fondamentale quale invero già è, tanto per l’individuo quanto che per la collettività tutta, ed in tutta la sua consistenza, se davvero si intenda dare seguito, e concretamente, al dettato Costituzionale giacché la salute, latamente intesa, non può che conseguire ad un regime di politiche sanitarie territorialmente mirate, ma anche di scelte funzionalmente dirette a ridurre ai minimi termini le disuguaglianze all’interno delle singole comunità perché le malattie, in linea generale, non sembrano colpire tutti nello modo e non tutti parrebbero avere la medesima possibilità di accedere alle cure.

Dicendolo diversamente, e per intenderci meglio quanto meno sul piano ideale argomentativo: il Sistema Sanitario Pubblico sembrerebbe necessitare di un programma razionale di riforma generale diretto al conseguimento dell’efficientismo sistematico parametrato all’evolversi dei tempi e delle esigenze emergenti. Che sia per ciò stesso programmato per avere una gestione nel suo complesso, e a monte, centralizzata, ma gradatamente declinata all’interno delle singole unità territoriali sulla base delle specifiche peculiarità dei territori stessi, al fine di conseguire la cosiddetta unità nella diversità per dare ampia attuazione non solo al diritto universale alla salute, ma pure a quello, non meno rilevante, della uguaglianza di tutti i cittadini anche in rapporto al comparto sanitario nazionale garantendo la piena esplicazione, nel momento patologico del rapporto stesso, del principio di sussidiarietà idoneo a garantire la pronta sostituzione della autorità di livello gerarchico superiore (ossia dello Stato) nel momento in cui quella di livello inferiore (ossia la Regione) non sia per qualsivoglia ragione in grado di provvedere con sollecitudine alle esigenze del proprio territorio.

Ebbene. Le formule risolutive potrebbero essere tante probabilmente, ma tutte dovrebbero avere quale priorità il cittadino e le sue necessità siccome un apparato statale davvero evoluto dovrebbe porre il problema sanitario al centro del suo programma di lavoro. Ed attualmente, in Italia, Maggioranza e Opposizione dovrebbero concordare un programma di interventi condiviso per il migliore interesse comune ed anche, non ultimo, per rafforzare il principio di affidamento di tutti i cittadini alle Istituzioni di riferimento.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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