Quella del Ponte, sul piano squisitamente ideologico e rappresentativo, è una delle metafore più seducenti della storia dell’umanità per essere idonea a suscitare nell’immaginario collettivo l’idea del “mettere in relazione” entità altrimenti distanti al fine di superare la condizione di isolamento tra il sé e il prossimo.

Nulla quaestio sul piano esperienziale emotivo, si tratta di dare comprensibile sfogo e soddisfazione all’esigenza tutta umana di creare punti di contatto sfruttando la potenza condizionante di un archetipo. Sul piano pratico, tuttavia, la questione parrebbe apparire in tutta la sua complessità: ideologico-rappresentativa prima ancora che fattuale-costruttiva. Tanto più allorquando oggetto della discussione degli ultimi giorni sia stato proprio il decreto legge recante “disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e il continente”. Per intenderci, quello del Ponte sullo Stretto di Messina (il cui progetto dovrà, stando alle previsioni, essere approvato entro il 31 luglio 2024), siccome, a parere del Ministero condotto dal segretario della Lega Matteo Salvini, opera prioritaria per garantire lo sviluppo del Mezzogiorno.

Ora, che il solo Ponte sullo Stretto (ammesso e probabilmente non concesso che l’opera medesima sia conveniente sul piano economico, su quello ecologico, geologico e paesaggistico) sia utile a garantire lo sviluppo funzionale e sistematico dell’intero Sud è tutto da vedere, e, a conti fatti, lecito sarebbe dubitarne, dal momento che, con buona verosimiglianza, e all’“occhio” profano e imperito del cittadino che vi si trovi a condurre anche un puro e semplice ragionamento di circostanza, a balzare alla mente sembrerebbe essere ogni più opportuna considerazione sulla mancanza e/o vetustà delle infrastrutture già esistenti, sia sul piano viario interno che su quello ferroviario su buona parte del territorio nazionale, Sardegna compresa.

Eppure, il Ponte sullo Stretto, e soprattutto quello, sembra essere divenuto il manifesto programmatico del Ministero dei Trasporti sotto l’egida del Governo Meloni, l’immagine ideologica di un disegno titanico, quanto probabilmente (la forma dubitativa è d’obbligo), chissà, non propriamente indispensabile, sempre ammesso e forse non concesso che si riesca a realizzare visto e considerato che per circa quarant’anni si è trattato della solita incompiuta mai avviata, che vorrebbe farsi esperienza concreta di unità e diversità.

Insomma, conti alla mano, l’ingente investimento che lo Stato italiano dovrà supportare, si tradurrà in una esperienza pratica idonea a migliorare la qualità e la quantità dei collegamenti tra la Regione Sicilia e la Penisola? Quale è attualmente la mole di “traffico” quotidiana, numericamente parlando, tra la Sicilia e la Calabria? La presenza di un Ponte sullo Stretto, in previsione futura, risponde ad una effettiva esigenza in crescendo dei collegamenti tra le due sponde, per esservi una effettiva domanda in tal senso, oppure i numeri resterebbero grosso modo gli stessi e l’opera avrebbe solo un carattere simbolico che, oltre tutto, non farebbe altro che aumentare, semmai, il traffico su gomma con ogni ulteriore aggravio per le tasche degli italiani che già devono fare i conti con l’aumento del prezzo del carburante?

E poi: vale davvero la pena apportare una modifica così invasiva sul piano strutturale, proprio nel contesto di un paesaggio tanto meraviglioso quale quello dello Stretto, legato al mito di Scilla e Cariddi, al parco letterario, alla natura? Non sarebbe forse più opportuno, e quasi certamente meno dispendioso, risistemare in maniera ecologicamente sostenibile il traffico marittimo dello Stretto, attraverso la fornitura di navi rinnovabili e attraverso la predisposizione di nuovi scali secondo quanto suggerito da taluni esperti del settore? Ogni opera strutturale che utile voglia essere deve anzitutto confrontarsi e parametrarsi alla natura circostante al fine di non violarne la consistenza e la morfologia. Non si tratta di ambientalismo da salotto ma di semplice buon senso, visto e considerato che il nostro territorio, su scala nazionale, è rinomato anche e soprattutto per le sue caratteristiche morfologiche e geografiche che lo rendono unico. Di questo il Ministro dei Trasporti dovrebbe tenere conto, e rivolgere le proprie energie a migliorare le infrastrutture esistenti prestando la massima attenzione ai territori maggiormente critici.

La condizione di insularità, se proprio si intende dare risposta al problema, e in Sardegna, prima ancora che in Sicilia la questione è dirimente, ai sensi degli artt. 174 TFUE e ss. e dell’Articolo 119 Costituzione, deve essere discussa, affrontata e risolta attraverso specifici provvedimenti finalizzati a garantire il riequilibrio, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, continuità territoriale, fiscalità di sviluppo, incentivi e misure di sostegno allo sviluppo, perequazione infrastrutturale, regimi di aiuto e chi più ne ha più ne metta. Sia chiaro: non si tratta solo e soltanto di soffermarsi a convalidare principi ormai conosciuti e riconosciuti, sia pure non sempre sul piano attuativo, dal diritto europeo e da quello interno, ma di far fronte concretamente alla questione, al fine di garantire l’eguaglianza sostanziale dei cittadini e la loro parità di trattamento nel godimento effettivo dei diritti, nelle condizioni di differenza ed in merito ai “costi dell’insularità”, specie quella Sarda, mediante misure concrete sul piano legislativo.

In questo senso, il Ministero dei Trasporti dovrebbe farsi portavoce possente ed esecutore concreto e puntuale. La finalità propagandistica dovrebbe cedere il passo dinanzi alla complessità e criticità della circostanza concreta. Se non si dimostra la capacità di intervenire su infrastrutture e collegamenti assai più semplici, come si può anche solo pensare di imbarcarsi in imprese di dubbia riuscita quale quella del Ponte sullo Stretto? Ci provò già Romano Prodi negli anni Ottanta, e nel successivo anno 2005, a distanza di più di un ventennio dovette ricredersi. A memoria, lo stesso Matteo Salvini, al tempo del Governo Renzi, si era detto contrario alla realizzazione del Ponte: cosa è cambiato oggi? Con particolare riguardo alla condizione di insularità poi, il Giudice delle leggi, ossia la Corte Costituzionale, ha in più occasioni mostrato di ritenere anche prima della reintroduzione del principio di insularità in Costituzione, che un importantissimo sostegno alle ragioni della nostra Isola fosse offerto dall’articolo 27 della legge n. 42 del 2009 il quale, a ben considerare, fin da allora, era formulato in maniera tale da assicurare l’impiego di meccanismi di perequazione fiscale e infrastrutturale espressamente diretti a garantire il riequilibrio del divario esistente.

Allora, perché non prendere in considerazione il problema dell'insularità, coinvolgente anche la Regione Sicilia, nella sua effettiva consistenza, di modo tale non solo da attribuire un significato concreto al suo reinserimento in Costituzione, ma anche allo scopo di commisurare le voci di entrata e di spesa dell'autonomia territoriale, avuto riguardo agli effetti di svantaggio economico determinati da tale condizione? Questa deve essere la vera sfida per il Ministero di Matteo Salvini. Garantire la viabilità, i collegamenti, quelli su strada e ferroviari anzitutto, oltre che quelli aerei e navali da e per la Sardegna, per evitare lo spopolamento e garantire il collegamento tra zone interne e costiere. Questi dovrebbero essere i “Ponti” da realizzare: prima il necessario, e, solo una volta assicurato il necessario, si potrà pensare, se del caso, allo straordinario.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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