Non sembra volersi porre fine all’escalation di violenza nel territorio ucraino. Vladimir Putin porta avanti con fredda convinzione il proprio disegno, intesse la propria rete di “conquista” con severa e decisa determinazione a voler dimostrare che, malgrado il trascorrere dei decenni, l’Urss non è mai “trapassata”, ma ha continuato ad esistere in una condizione di latenza programmata che parrebbe giunta alla sua cinica “manifestazione clinica”. Nella giornata di oggi, al confine tra l’Ucraina e la Bielorussia, peraltro, sembrerebbe previsto l’annunciato “colloquio” tra Putin e Zelensky il quale, invero, non nasconde le proprie perplessità sul buon esito dello stesso. Intendiamoci: sul fatto che l’Ucraina, per il Cremlino di Vladimir, sia solo uno “staterello” satellite, una pura e semplice “pre-condizione di accesso” verso il continente europeo, non credo possano esservi dubbi, anche in considerazione della persistente debolezza dell’Unione, soggiogata “ab origine” dalla propria inesistenza sul piano politico interno e geo-politico internazionale.

Che fine hanno fatto i decisori politici cosiddetti “occidentali”? Ammesso e non concesso che, ai nostri giorni, nell’era della globalizzazione, abbia ancora un senso, un qualunque senso, continuare a voler rivivere una distinzione, anche solo verbale, tanto anacronistica quanto fuorviante, tra “oriente” e “occidente” che rischierebbe di riflettersi sulle nostre realtà sul piano non proprio edificante del “viceversa” storico e nei termini severi di un “contrappasso” ideologico di circostanza. La “paresi” (imbarazzante) del Vecchio Continente e dell’America di Joe Biden comincia a destare preoccupazione, soprattutto nel momento in cui le loro rispettive rappresentanze politiche dimostrino, giorno dopo giorno, di non riuscire ad andare oltre ripetitivi e banalissimi “discorsi” di “contingenza”: ossia l’“inesistente politico” che sembra non voler perdere l’occasione per farsi “verbo” solo per mascherare la totale assenza di strategia.

Intanto, perché tutte le questioni inerenti la politica estera (comprese quelle relative ai conflitti di identità) sono state via via derubricate e riposte nel variegato e complesso calderone delle marginalità, quasi che il mondo circostante fosse una cornice vuota da riempire a nostro piacimento quando ne avremmo avuto (e se mai ne avessimo avuto) voglia e ispirazione. Quindi perché così operando, e non certo per colpa dell’emergenza pandemica la quale è sopraggiunta solo nel momento in cui le circostanze degenerative della gestione politica nazionale ed europea avevano raggiunto il loro apice, si è colpevolmente omesso di considerare il disagio di quanti, al confine con l’Europa, hanno continuato, in maniera più o meno intensa, a vivere “in perfetta solitudine” i soliti conflitti di (ri-) affermazione territoriale, estemporanei nel contesto di un mondo che vuole dirsi globalizzato, ma pienamente sussistenti e ragionevolmente condizionanti nei territori “di mezzo” ancora vincolati dal concetto del “limite” che sembrava (ma evidentemente così non è) definitivamente caduto nel lontano 1989. Infine perché ogni decisione politica appare fortemente influenzata dalla nuova emergenza energetica, con riferimento alla quale, e tanto per cambiare, non è possibile, allo stato, individuare posizioni unitarie forti con ogni conseguenza peggiorativa sul piano del breve termine che il conflitto con la Russia non farà che acuire.

Diciamocela tutta: se Vladimir Putin ha potuto spingersi così “oltre” è solo perché l’impreparazione dei suoi competitor cosiddetti “occidentali” ha rivelato, ancora una volta, la propria sostanziale e incerta debolezza politica e diplomatica. Minacciare sanzioni, come pure ha fatto di recente Mario Draghi, e non riuscire neppure ad essere concretamente conseguenti non serve a nulla. Il nanismo ideologico e strategico che affligge un vecchio “Occidente” ancora distratto, pigro e attendista, in buona sostanza, si è rivelato proprio nel suo voler riscontare l’avanzata militare russa con minacce di carattere economico di certo messe in conto dal possente Cremlino e ritenute trascurabili siccome destinate a dissolversi nel vento. L’Alleato, diversamente da quanto si sarebbe voluto ritenere, è al tappeto, e il “gong” sta per essere suonato. Possibile che non si sia riusciti, e non si riesca, ad andare al di là delle pure e semplici dichiarazioni di facciata? Possibile che le diplomazie europee (e sento non poco imbarazzo a definirle tali) si siano rassegnate a lasciarsi condizionare pesantemente dalle operazioni moscovite senza voler dare alcun segnale di resistenza? Possibile che i nostri pretesi leader siano talmente impreparati da non riuscire a cogliere la gelida lucidità strategica di un Capo di Stato perfettamente contestualizzato sul piano geopolitico e decisamente consapevole della propria forza?

L’immobilismo europeo è la vera infallibile arma di Vladimir Putin il quale può avanzare indisturbato: senza se e senza ma. La vecchia Russia ancora c’è e si fa sentire, torna a ruggire. Il tentativo odierno di negoziare la crisi con il presidente Volodymyr Zelensky, lasciato a se stesso, ci darà modo di comprendere, forse, quanto meno una parte del progetto espansionistico del Cremlino che, verosimilmente, potrebbe contemplare, nella assenza di obiettivi strategici precisi da parte del Vecchio Continente unitariamente considerato, pure la “conquista” e la “colonizzazione” dei suoi territori. È appena il caso di ricordare, infatti, che per Vladimir Putin il concetto di “confine” assume valenza concreta solo se auto riferito mentre, invece, è del tutto inconsistente quando si tratti di “spostarlo” a suo piacimento, in danno dei suoi “vicini”. Allontaniamo pure l’idea che si tratti di una manifestazione di “psichiatrica onnipotenza” patologica. Serve solo a giustificare, e pure malamente, la nostra condizione di minorità. La lucidità non difetta di certo nell’autocrate russo: la posizione della Ucraina, tra Unione Europea e Russia, rappresenta l’alfa e l’omega ideologico, il senso compiuto, dell’azione militare avviata negli ultimi giorni. Detto altrimenti: i rapporti tra Kiev e Mosca sono stati variamente influenzati, negli ultimi anni, non solo dalle relazioni tra i Paesi dell’Europa Occidentale e la stessa Ucraina, ma anche dal “dossier” Crimea che, con il crollo dell’Unione Sovietica, è passata sotto la sovranità ucraina. Ciò che maggiormente perplime, tuttavia, è la posizione assunta dalla Cina la quale, invero, malgrado i numerosi proclami diretti a sollecitare una risoluzione pacifica e diplomatica del conflitto respingendo decisamente l’uso della forza e l’imposizione di sanzioni, tuttavia, quale “Paese Amico” tanto della Russia quanto dell’Ucraina, si guarda bene, quanto meno nel breve periodo, dal conclamare una posizione netta, ben sapendo che, comunque si evolva il “conflitto”, sarà sempre lei il proverbiale “terzo che gode”. Del resto non le armi, ma il “cappio” economico è sempre stato la sua forza.

Se dunque, l’intera situazione ha potuto innescarsi e degenerare, la responsabilità, in larga misura, parrebbe essere proprio dell’instabilità politica europea e della attuale debolezza strategica dell’Alleato “a Stelle e Strisce” (in altri termini, se manca la “stampella”, ossia l’America, il “gigante”, e si fa per dire, cioè l’Unione Europea, non sta in piedi). Ma a dispetto di chi la Russia ha ordito negli anni una operazione di tal fatta? E se il sogno visionario di Vladimir Putin, nel lungo periodo, fosse proprio quello di una “Europa Russa”?  Qualcuno diceva che “a pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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