Elezione diretta del premier, stop a ribaltoni e governi tecnici: il Cdm approva la riforma costituzionale
Giorgia Meloni: «La madre di tutte le riforme». Calenda dice no: al momento in Parlamento non c’è la maggioranza dei due terzi, dunque si dovrà passare da un referendum, come nel 2016Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Elezione diretta del presidente del Consiglio, stop a ribaltoni e governi tecnici e stop alla nomina dei senatori a vita scelti dal Quirinale.
Il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma costituzionale, un disegno di legge della ministra Maria Elisabetta Casellati che cambia la Carta fondamentale ed è destinato a far discutere a lungo. Anche perché l’ok in Cdm è solo il primo di tanti passaggi necessari perché la riforma entri in vigore.
Il ddl è di 5 articoli, introduce «l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri». Ma il passaggio più controverso è la cosiddetta norma anti ribaltone che modifica l’articolo 94 della Costituzione andando a toccare i poteri del Colle. Se il premier eletto dal popolo viene sfiduciato, il presidente della Repubblica «può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto». Il premier incaricato deve presentarsi con lo stesso programma e ottenere il voto di fiducia dei parlamentari che sostenevano la maggioranza uscita dalle urne. I voti dell’opposizione si possono aggiungere, ma non sostituire a quelli della maggioranza. Con una norma del genere, in sostanza, il governo Draghi non sarebbe mai nato. E neanche quelli di Giuseppe Conte.
Il Capo dello Stato mantiene il potere di nominare i ministri «su proposta del presidente del Consiglio». Il premier, eletto a suffragio universale diretto, resta in carica 5 anni.
Diventeranno senatori a vita solo i presidenti emeriti della Repubblica, stop alla nomina diretta del Quirinale «per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».
«Negli ultimi 75 anni di storia Repubblicana abbiamo avuto 68 governi con una vita media di un anno e mezzo. Questa è la madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia perché se facciamo un passo indietro e guardiamo agli ultimi 20 anni abbiamo avuto 12 presidenti del Consiglio», ha detto Giorgia Meloni nella conferenza stampa a Palazzo Chigi.
La riforma, continua, «introduce l'elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obiettivi che dall'inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici o governi passati sulla testa dei cittadini».
«Restano inalterati i ruoli del presidente della Repubblica e del Parlamento», spiega, e vengono modificati 4 articoli della Costituzione: «Il presidente del Consiglio eletto a suffragio universale contestualmente alle Camere. Si rinvia alla legge elettorale la responsabilità di garantire una maggioranza. È prevista anche una norma antiribaltone: il presidente eletto può essere sostituito solo in un caso, e solo da un parlamentare. È la fine dei ribaltoni».
Scontato il no di Pd e M5s, i riflettori sono puntati su Renzi e Calenda. Matteo Renzi sul “sindaco d’Italia” è pienamente d’accordo ma esprime dubbi sulla norma che riguarda i senatori a vita: «Ma davvero oggi è la priorità mandare a casa Liliana Segre per tenere Claudio Lotito? Concentriamoci sull’elezione diretta del premier».
Carlo Calenda invece annuncia il suo no: «Riforma che potremmo chiamare l’italierato. Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è un premierato, non è presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo. Il Parlamento non funziona, il federalismo non funziona, la pubblica amministrazione non funziona. Meloni ha trovato la soluzione: occuparsi d'altro. Il che rappresenta bene la storia di questo governo».
E senza l’ok dei due gruppi centristi la riforma non otterrà in Parlamento la maggioranza dei due terzi e dovrà dunque passare per il referendum. Sette anni fa a Matteo Renzi, che approvò una riforma costituzionale con i soli voti della maggioranza, non andò beneq: i cittadini la bocciarono sonoramente nel referendum.
(Unioneonline/L)