Elezione diretta del presidente del Consiglio, stop a ribaltoni e governi tecnici e stop alla nomina dei senatori a vita scelti dal Quirinale.

Il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma costituzionale, un disegno di legge della ministra Maria Elisabetta Casellati che cambia la Carta fondamentale ed è destinato a far discutere a lungo. Anche perché l’ok in Cdm è solo il primo di tanti passaggi necessari perché la riforma entri in vigore.

Il ddl è di 5 articoli, introduce «l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri». Ma il passaggio più controverso è la cosiddetta norma anti ribaltone che modifica l’articolo 94 della Costituzione andando a toccare i poteri del Colle. Se il premier eletto dal popolo viene sfiduciato, il presidente della Repubblica «può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto». Il premier incaricato deve presentarsi con lo stesso programma e ottenere il voto di fiducia dei parlamentari che sostenevano la maggioranza uscita dalle urne. I voti dell’opposizione si possono aggiungere, ma non sostituire a quelli della maggioranza. Con una norma del genere, in sostanza, il governo Draghi non sarebbe mai nato. E neanche quelli di Giuseppe Conte.

Il Capo dello Stato mantiene il potere di nominare i ministri «su proposta del presidente del Consiglio». Il premier, eletto a suffragio universale diretto, resta in carica 5 anni.

Diventeranno senatori a vita solo i presidenti emeriti della Repubblica, stop alla nomina diretta del Quirinale «per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».

«Negli ultimi 75 anni di storia Repubblicana abbiamo avuto 68 governi con una vita media di un anno e mezzo. Questa è la madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia perché se facciamo un passo indietro e guardiamo agli ultimi 20 anni abbiamo avuto 12 presidenti del Consiglio», ha detto Giorgia Meloni nella conferenza stampa a Palazzo Chigi.

La riforma, continua, «introduce l'elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obiettivi che dall'inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici o governi passati sulla testa dei cittadini».

«Restano inalterati i ruoli del presidente della Repubblica e del Parlamento», spiega, e vengono modificati 4 articoli della Costituzione: «Il presidente del Consiglio eletto a suffragio universale contestualmente alle Camere. Si rinvia alla legge elettorale la responsabilità di garantire una maggioranza. È prevista anche una norma antiribaltone: il presidente eletto può essere sostituito solo in un caso, e solo da un parlamentare. È la fine dei ribaltoni».

Scontato il no di Pd e M5s, i riflettori sono puntati su Renzi e Calenda. Matteo Renzi sul “sindaco d’Italia” è pienamente d’accordo ma esprime dubbi sulla norma che riguarda i senatori a vita: «Ma davvero oggi è la priorità mandare a casa Liliana Segre per tenere Claudio Lotito? Concentriamoci sull’elezione diretta del premier».

Carlo Calenda invece annuncia il suo no: «Riforma che potremmo chiamare l’italierato. Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è un premierato, non è presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo. Il Parlamento non funziona, il federalismo non funziona, la pubblica amministrazione non funziona. Meloni ha trovato la soluzione: occuparsi d'altro. Il che rappresenta bene la storia di questo governo».

E senza l’ok dei due gruppi centristi la riforma non otterrà in Parlamento la maggioranza dei due terzi e dovrà dunque passare per il referendum. Sette anni fa a Matteo Renzi, che approvò una riforma costituzionale con i soli voti della maggioranza, non andò beneq: i cittadini la bocciarono sonoramente nel referendum.

(Unioneonline/L)

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