A livello nazionale, considerati gli esiti delle votazioni condotte in diversi circoli, Stefano Bonaccini parrebbe potersi considerare il prossimo segretario del Partito Democratico nella sua interezza compositiva. Immediatamente dietro a lui, Elly Schlein segue con una percentuale piuttosto alta di simpatizzanti pronti a condividere con la giovanissima contendente un’idea di sinistra che volga lo sguardo alle origini, alle sue radici più positivamente rappresentative, utili a definire il futuro profilo identitario e valoriale di un partito che, probabilmente nei fatti più che negli intenti, potrebbe distinguersi ancora una volta nella diversità ideologica, per poi, forse, frammentarsi, necessariamente, in due distinte unità: una maggiormente rivolta verso il centro progressista, ed una maggiormente rivolta ai migliori valori fondanti della sinistra, quali furono quelli del partito quando si caratterizzava per essere fortemente rappresentativo del Popolo dei lavoratori e delle classi meno abbienti.

E probabilmente, in questo senso e frangente, non era poi così peregrina l’idea di Elly Schlein di cambiare comunque la nomenclatura della creatura politica che verrà fuori dal presente periodo congressuale se solo si vogliano rammentare le parole profonde di Martinazzoli allorquando, anni orsono, in occasione della relazione di apertura del segretario politico ai lavori dell’assemblea programmatica costituente della DC tenutasi a Roma nel luglio dell’anno 1993, in vista del futuro divenire del proprio Partito, nel porsi proprio la questione del cambio della denominazione, aveva osservato di non voler  “seguire la futilità di una moda (o) tagliare di netto la continuità di una tradizione”, ma di voler, piuttosto, propugnare l’immagine del “rinnovare senza rinnegare”. E se è vero, come parrebbe essere vero, che il Partito Democratico nacque proprio, tra l’altro, per conquistare anche una fetta di elettorato cattolico motivato nel condividere il pluralismo etico e anche culturale tipico della globalizzazione, senza tuttavia dimenticare il proprio impianto valoriale, allora parrebbe proprio che la visione politica condivisa e portata avanti dalla grintosa Elly, costituisca la chiave di lettura vincente per un’aggregazione partitica che nel suo insieme, a tutt’oggi, non sembrerebbe riuscire a rinvenire l’unità nella diversità.

In altre parole: a prescindere da colui o colei che prevalga nella competizione elettorale per la segreteria del Partito Democratico, di certo non potrà trascurare il sentimento di quella ampia percentuale di votanti e componenti che desidererebbero una formazione partitica fortemente identitaria. Laddove l’impostazione ideologica di questa rilevante percentuale di iscritti e simpatizzanti dovesse venire in qualche modo trascurata dal nuovo segretario, la via della scissione potrebbe rivelarsi inevitabile, con ogni conseguenza sul piano del peso elettorale di un Partito da sempre caratterizzato per porsi in cima alle preferenze della gran parte degli italiani. Intendiamoci, tuttavia, su taluni punti qualificanti: attualmente il Paese necessita di interventi strutturali importanti, probabilmente epocali, che siano utili ad affrontare e vincere le sfide che i tempi correnti, tra Pandemia e guerra, ci stanno imponendo; la risposta non può chiaramente arrivare dal populismo di destra, ma neppure dall’esperienza della sinistra cosiddetta socialdemocratica che, invero, conserva un valore prettamente storico oramai esaurito nei suoi cicli essenziali.

Ebbene. A tutt’oggi, votazioni ancora in corso, non sembra essersi compreso, o probabilmente non è stato ancora definito, il contenuto del Partito che verrà il quale, con buona verosimiglianza, avrebbe necessitato di un confronto politico con la base più ampia finalizzato a sciogliere quei nodi di sistema che potrebbero fungere da elemento di frattura e di futuro inceppamento di un circuito che, seppure avviato, potrebbe trovarsi costretto ad arrestare il suo percorso.

Per dirla più semplicemente, sarebbe forse stato maggiormente opportuno, da parte dei candidati alla segreteria, sottoporre ai propri iscritti e simpatizzanti di partiti un vero e proprio manifesto programmatico che indicasse, per un verso, le problematiche esistenti distinguendole sia a seconda dei contenuti per quanto concerne l’impostazione ideologica ed i programmi da realizzare, sia sulla base delle distinzioni interne e delle correnti esistenti al fine di rinvenire un punto valido e forte di incontro e di assestamento. 

Così non parrebbe essere stato.

La circostanza non può poi non riflettersi a livello regionale, anche sardo, ove le candidature alla guida della Segreteria territoriale parrebbero seguire il trend nazionale anche nei termini del sostegno e del gradimento. E se così è, all’attualità, per il Partito Democratico, possiamo parlare di “unità nella diversità”? A votazioni concluse, le diverse anime ancora esistenti, riusciranno a trovare a posteriori un accordo di convivenza all’interno di una struttura che forse non è ancora pronta alla trasformazione in senso unitario ed omogeneizzante? Quale contributo innovativo potrebbe arrivare dai candidati regionali alla Segreteria? Forse sarebbe stato necessario, ab origine, e prima dell’avvio della fase congressuale, ripensare al sistema di selezione del gruppo dirigente. Selezione che sarebbe da affidare interamente alle valutazioni e preferenze della base del partito, ossia dei cittadini elettori, sia sul piano territoriale e regionale, sia sul piano nazionale. Perché solo così, con buona verosimiglianza, si potrebbe riuscire a limitare l’incidenza del correntismo sulle dinamiche di partito.

L’occasione, ancora una volta, sembra essere andata persa. Di certo, dagli esiti del voto nei circoli, sembra essere emersa, al di là delle percentuali dei singoli, una duplice impostazione di quello che dovrebbe essere e divenire il Partito. Se non si riuscisse a trovare il punto di congiunzione, la scissione, all’esito, non potrà che essere l’unica via percorribile, con ogni conseguenza sul piano delle potenziali alleanze le quali, invero, non potranno se non tenere in conto le assonanze ideologiche tra Partiti: in primis sul piano della contrapposizione forte alla riforma Calderoli che rischia, se attuata, di frammentare definitivamente il Paese distruggendone l’originario impianto unitario.

Non resta che attendere, confidando nell’esclusione, anche a livello regionale, di ogni forma di appiattimento agli esiti nazionali.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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