A giudizio di Emilio Lussu, l'autonomia doveva essere l'abito da lavoro d'ogni giorno per la politica sarda, e non certo - come temeva potesse avvenire - quello da indossare solo nel “dì di festa”. Con ciò intendeva che dovesse essere intesa come una costante di impegno e di applicazione quotidiani, e non una semplice condizione da rivendicare e da festeggiare, una volta all'anno con canti e balli, magari in Sa die de sa Sardigna.

Aveva certamente ragione a preoccuparsi perché, da qualche tempo a questa parte, parrebbe che l'autonomia, con la sua cultura e i suoi valori, è più celebrata a parole che vissuta nell'agire quotidiano della nostra Regione. Nel senso che anch'essa ha seguito la politica nel suo declino, e oggi le si trova accomunate nel giudizio critico, e sostanzialmente negativo, da parte della pubblica opinione.

C'è anche chi ha parlato di un sostanziale fallimento, o almeno d'una grave crisi di efficienza e di adeguatezza, della sua istituzione politica, la Regione, appunto. Dimostratasi troppo debole, o incapace, nel sapere tutelare politicamente gli interessi della società sarda nei confronti dello Stato centrale. Tanto da essere ritenuta niente altro che l'anello terminale, se non proprio una semplice succursale, di quello stesso potere. Così che al potente e contestatissimo centralismo romanocentrico, si sarebbe insediato un altro centralismo, altrettanto inviso e nocivo, attribuito alla stessa capitale regionale. (...)

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