Q uando l'emergenza coronavirus passerà, dovremo pur tornare ad occuparci dei problemi che attanagliano l'Isola. Ad esempio venire a capo del ginepraio energetico.

Chiusura delle centrali sarde a carbone nel 2025? Forse. Una nuova interconnessione elettrica Sardegna-Sicilia, oppure la scelta del gas metano come sostituti della decarbonizzazione? Forse. Sono poi queste le variabili indicate nella versione finale del Piano nazionale per l'energia e il clima (Pniec), da poco pubblicata dal competente ministero (Mise), dopo l'approvazione da parte dell'Unione Europea. In quei due “forse” c'è poi tutta l'incertezza di quel che dovrà essere il futuro energetico della nostra isola.

In particolare, secondo le indicazioni del Piano, la decarbonizzazione energetica dovrà andare di pari passo con la dimensione e la sicurezza delle forniture sostitutive: quindi “sempreché siano per tempo realizzati gli impianti e le necessarie infrastrutture per sostenere i processi di lavorazione”. Per la scelta delle produzioni sostitutive (se attraverso la congiunzione elettrica con la Sicilia o un'autonoma metanizzazione) ci si dovrà basare “sul confronto in appositi tavoli settoriali con gli operatori, la Regione sarda, Terna, le parti sociali e le associazioni ambientaliste e di categoria”. Cioè cercando di trovare una non semplice sintesi fra tante opposte opzioni.

Occorre ricordare che la decarbonizzazione comporterà la produzione sostitutiva di oltre 5mila GWH di elettricità.

U na produzione oggi fornita dalle termocentrali di Fiumesanto (Eph) e di Portovesme (Enel), pari a circa il 45 per cento del bilancio energetico sardo. In particolare le scelte del Pniec puntano sull'incremento delle capacità di generazione dal gas in modo da “assicurare la necessaria flessibilità al sistema, compensando l'incremento di produzione delle rinnovabili non programmabile e assicurando così il mantenimento dei livelli di sicurezza, adeguatezza, resilienza e qualità del servizio”.

Di fatto l'unica novità del Piano è che il 2025 non sarà più un limite invalicabile e che si lascerà più tempo per effettuare la decarbonizzazione delle nostre termocentrali. Non è facile capire se sia, o meno, una buona notizia. Non lo è di certo per gli ambientalisti più radicali, arroccati sulla invalicabile trincea del 2025, e non lo è neppure per gli industrialisti più convinti per via del permanere del discriminante peso della bolletta elettrica, a causa del rinvio delle scelte definitive per la decarbonizzazione.

Non lo è neppure per la nostra economia che viene resa ancor più debole e sofferente per via di questi continui rimandi e di queste persistenti indecisioni su di un problema - questo delle scelte e dei costi per gli approvvigionamenti energetici - che deve essere considerato fondamentale per promuovere e sostenere lo sviluppo.

Occorre infatti ricordare come la sperequazione dei costi energetici con le altre regioni del Paese continui a rappresentare un pesante handicap per il nostro sistema produttivo. Imputandone la mancata metanizzazione, il cui completamento (ricordate il progetto Galsi?) sarebbe dovuto avvenire nel 2013, sette anni or sono. Lasciandoci purtroppo in eredità dei maggiori costi che ammonterebbero, secondo stime ufficiali, a circa 500 milioni di euro annui.

Da allora (erano i tempi del governo Prodi) la scelta sul gas metano qui in Sardegna, lo si vede in partenza, rallentare, fermarsi, e poi pronto a ripartire. Come in un continuo gioco dell'oca, alimentato dall'aleatorietà dei dadi. Senza che se ne intravveda però la conclusione. Lasciando poi ampi spazi, tra una decisone e l'altra, a nuove ipotesi, come quella - marcata dai 5stelle di governo - di approvvigionare di elettricità la Sardegna con un cavo dalla Sicilia. Un'operazione che renderebbe ancor più preoccupante e pesante la dipendenza energetica della nostra isola.

Su questo tema non è neppure molto semplice comprendere se tra Regione e Governo sia possibile trovare un'intesa, in quanto gli intendimenti paiono tuttora assai divergenti. Basti mettere a confronto le dichiarazioni del premier Conte e del sottosegretario Todde con quelle del governatore Solinas e dell'assessore Pili.

Ora, al di là di queste divergenze (appianabili?), c'è certamente l'urgenza di trovare una risoluzione al problema, in modo da eliminare le pesanti sperequazioni esistenti con l'altra Italia e l'Europa in tema di costi energetici. Infatti, non si può uscire dal declino e ritornare allo sviluppo senza definire tempi e modi occorrenti per ridare certezze alle nostre disponibilità energetiche e per assicurare, contestualmente, un riallineamento europeo alla nostra bolletta elettrica. Nella convinzione che anche la componente energetica regionale dovrà avere una gestione autonomistica finalizzata decisamente a promuovere sviluppo.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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