C agliari, è la fine degli anni Ottanta quando un ragazzino percorre via Bosa con in mano un piccolo villaggio nuragico che lui stesso ha modellato con la creta e che il ceramista Claudio Pulli gli ha permesso di cuocere nel suo forno.

È agitato. Tra poco dovrà affrontare l'esame di licenza media. Eppure, nell'ansia, si fa strada l'ottimismo, perché la professoressa Cardia - il commissario esterno - è una donna severa, ma giusta.

Ah! Quanto sa essere lunga l'attesa quando abbiamo paura di ciò che sta per accadere!

Superate le prove scritte, l'orale resta l'ultimo scoglio prima delle vacanze estive.

Ecco. È arrivato il momento. Bisogna entrare.

La professoressa Cardia nota l'agitazione che traspira da ogni poro del ragazzo e, per metterlo a suo agio, gli dice che può cominciare con un argomento a piacere.

Così, dopo aver fatto un bel respiro, il ragazzo posa la sua scultura nuragica sul banco e comincia a raccontare:

«Ho studiato la storia della civiltà nuragica in un libro illustrato, trovato a casa di mia nonna Verina. Si intitola breve storia della Sardegna ed è stato scritto da ben dieci autori nel 1965».

Impassibile, la professoressa Cardia resta ad ascoltare quel neolitico resoconto fatto di pietra, ma anche di fragilità: le morti neonatali, la lotta con le zanzare e le carie dentali: che erano più frequenti nell'interno dell'isola: perché lì si mangiavano molti zuccheri e poco pesce... Il ragazzo cerca di essere il più specifico possibile. Ha imparato i termini giusti: torre troncoconica, sporti, mattoni crudi, muri a scarpa, tombe a cassetta di pietra…

Fino a quell'incapacità della civiltà nuragica di espandere il proprio dominio fuori dei confini dell'isola.

Disse, infine, citando a memoria: «Fu questa la causa della loro decadenza, insieme all'eccessivo attaccamento alla tradizione che portava a respingere i ritrovati delle civiltà più evolute».
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