L 'era di Angela Merkel è finita, la produzione italiana è ferma, tra una settimana (6 novembre) ci sono le elezioni di Midterm in America. I tre fatti sembrano scollegati, indipendenti, con esiti separati. Non è così, l'illusione di poter capire - e gestire - la complessità spezzando la catena di eventi svanisce di fronte alla realtà. Vediamo questi tre punti dell'agenda combinati.

Primo punto. La sconfitta in Assia della Grosse Koalition ha prodotto uno shock: la Cancelliera ha rinunciato a guidare la CDU e ha assicurato che alla fine del mandato (2021) chiuderà la carriera politica. Gong. Merkel fuori, dentro chi? Si apre un vuoto, è il disperato tentativo di eliminare un simbolo ieri vincente e oggi negativo per l'elettore tedesco. Stiamo parlando di Angela Merkel, l'unico vero statista in carica in Europa, la sua ritirata strategica è il picco della crisi dell'establishment che dal Crollo del Muro di Berlino aveva pilotato la globalizzazione. Siamo entrati in una fase “post Merkel” (e dunque post-tutto), è la certificazione del tremendo impatto che hanno avuto i partiti populisti, anti-sistema, anche in un modello solido come quello della Germania.

Secondo punto. La produzione italiana è in apnea, lo dice l'Istat, l'ultimo trimestre segna zero. Il governo in casa dovrà mettersi l'elmetto e dare una mano al settore manifatturiero, all'edilizia e ai servizi (i tre pilastri della crescita); in Europa ha davanti una battaglia sul bilancio più difficile perché le stime di crescita del Def ora ballano il fox trot. (...)

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