P arigi e Roma ieri sono state l'incrocio di due storie politiche. Una di declino, l'altra di ascesa. Una di rivoluzione contro il monarca (nella tradizione storica della Francia), l'altra (forse) di evoluzione del quadro politico di un Paese-laboratorio.

Le storie di Emmanuel Macron e Matteo Salvini sono da tempo incrociate. Il francese e l'italiano si sono scelti a vicenda mesi fa, come “nemici”. Le President non perde occasione per illuminare la figura di Salvini come pianeta opposto al suo; il Capitano evoca la sagoma di Macron per criticare le tecnocrazie europee.

È un gioco politico consapevole, entrambi sanno che la posta in palio è pesante: il controllo del Parlamento di Strasburgo e della Commissione europea a Bruxelles.

Le similitudini tra Macron e Salvini funzionano per divisione, ma ve ne sono anche per unione. Entrambi nascono come politici di famiglie in disarmo o che non ci sono più. Macron cominciò la sua avventura nel governo Hollande, figlio di un Partito socialista francese oggi in stato di semi-clandestinità.

Salvini cominciò a Radio Padania, fu consigliere comunale a Milano, figlio della Lega secessionista di Bossi, quella delle ampolle sul Monviso e del No Euro, un partito che oggi non c'è più; Macron ha risposto alla crisi del Ps con la fondazione di un movimento-contenitore, En Marche; Salvini ha trasformato il Partito del Nord in un progetto nazionale. (...)

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