L a storia dei Cinque Stelle è fondamentale per capire la parabola dell'Italia negli ultimi dieci anni. Un movimento politico nato dall'idea di un comico (Grillo) e un visionario della tecnologia (Casaleggio) ha occupato uno spazio centrale nella politica.

Le dimissioni di Luigi Di Maio dalla guida del Movimento sono l'acuto di una storia che viene da lontano. Il partito ha le sue difficili premesse (e troppo facili promesse) nella Grande Crisi finanziaria americana del 2007/2008 e la sua importazione in Europa sotto forma di recessione e crisi del debito sovrano.

I l grillismo cresce in un'Italia dove Berlusconi perde la maggioranza, un leader travolto dal Bunga Bunga, macinato dallo spread che balza a quota 575 punti, una stagione di stress finanziario che un Paese con 2 mila miliardi di debito pubblico non può reggere. Alimentata dai media la retorica della “casta”, gonfiate le vele dell'antipolitica, il risultato nel voto del 2013 è l'exploit del Movimento Cinque Stelle, il suo ingresso a passo di carica in Parlamento, la fine del del vai e vieni tra governo e opposizione delle famiglie italiche di destra e sinistra.

Dopo cinque anni di lento e inesorabile suicidio del progressismo, dopo tre governi fratricidi (Letta, Renzi, Gentiloni), dopo aver sprecato l'occasione unica della pax finanziaria, del quantitative easing della Banca centrale, della Germania non ostile e della Francia in cerca d'autore, la sinistra italiana scopre che tutto quello che aveva alimentato ai tempi di Berlusconi (protesta giacobina, demagogia dei salotti editoriali, la piazza agitata come una clava) le si rivolta contro. Anche Renzi casca nel pentolone. E la fiamma l'avevano alimentata i suoi compagni.

Nel 2016 la storia accelera, comprime i fatti, li trasforma: nel Regno Unito decolla la Brexit e si prepara l'ascesa di un leader come Boris Johnson, l'elezione di Donald Trump negli Stati Uniti è un sottosopra della politica della prima potenza mondiale, l'evaporazione dei clan dei Bush, dei Clinton e l'archiviazione ultra-rapida dell'obamismo, la comparsa di Emmanuel Macron in Francia segna la fine dei socialisti francesi, la tradizionale stabilità del sistema politico della Germania è minata dall'ascesa della destra di AfD, dagli eccezionali risultati dei Verdi nei land e dal crollo dei socialdemocratici della Spd.

Qualcuno poteva illudersi che tutto questo non sarebbe finito anche sulle spalle del Pd? La realtà arriva puntuale, inesorabile e onesta con le elezioni del 2018: il Movimento trionfa nel voto di marzo, è il primo partito, la Lega supera per la prima volta Forza Italia, Di Maio e Salvini sono i leader in ascesa. Dopo una drammatica fase di consultazioni, nasce l'alleanza tra Cinque Stelle e Lega, l'unico format disponibile in quel momento, il governo Frankenstein. Le divergenze sono visibili fin dalle trattative per il nuovo governo (le abbiamo anticipate), il partito dei ceti produttivi del Nord e quello delle masse del Mezzogiorno in cerca di assistenza entrano in rotta di collisione e il Big Bang si consuma velocemente, pochi mesi dopo, quando nel maggio del 2019 la Lega sfonda quota 30 per cento e i Cinque Stelle perdono 6 milioni di voti.

I rapporti s'invertono, i grillini diventano de facto il junior partner del governo, Salvini non avendo ottenuto niente da Di Maio (e guardando le mosse sempre più autonome di Conte) cerca la spallata, apre la crisi d'agosto al buio e ci casca dentro. Un classico. In quel momento nasce - con la benedizione delle cancellerie europee, che vedono in Salvini l'incredibile Hulk - un altro esperimento surreale, il governo giallo-rosso. Conte passa da avvocato del popolo a premier in pochette, il risultato è sempre lo stesso, i Cinque Stelle non riescono ad essere una forza di governo, perdono consensi e i parlamentari migrano altrove, la dissidenza interna diventa una malattia, mentre Conte lavora alle spalle di Di Maio, coltiva progetti, cerca un suo spazio politico.

La fine era scritta, ma come sempre è anche un nuovo inizio, perché Di Maio non ha detto addio ma arrivederci e soprattutto perché tra 48 ore si vota in Calabria e in Emilia. Il risultato della Regione rossa è quello che conta. Se l'Emilia diventa verde, Salvini trionfa e il governo viene catapultato nella terra senza mappe della crisi. Andrà così? Ci diamo appuntamento a domenica notte e poi vedremo insieme come sarà l'alba.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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