Cagliari è sinonimo di stratificazioni e di contraddizioni tanto che vi possono convivere, nello stesso luogo, sublime e osceno; perché il governo di tanta densità è cosa complessa. Già Platone nel “Protagora” elenca le técnai per il governo della polis.

Mai abbastanza.

Le classi dirigenti romane scelsero come evergetica la moderazione, fulcro del dire ma pure della pratica di governo, finché resse; e Severino Boezio, nell'alto medioevo, è ossessivo circa la formazione dei chierici destinati a fungere da classe dirigente. Si potrebbe continuare ma solo per tornare su un luogo assai frequentato in questo quotidiano perché termometro della salute della città. Si tratta di Tuvixeddu.

Da ultimo Andrea Artizzu vi scopre un'inquietante umanità di invisibili che vi si occulta nel più assoluto degrado. Quando i secoli sfumeranno nei millenni, il suo racconto si sovrapporrà a quelli sul medioevo che diventando Umanesimo si trascina dietro le antiche miserie degli esclusi dalla città turrita. Il cronista disvela alla civitas cosa sono realmente le pendici occidentali di Tuvixeddu.

Quelle che Caio Filippo, Tito Vinio Berillo, Caio Rubellio scelsero per i loro mausolei come dicono le iscrizioni indirizzate ai viatores che, per millenni, calpesteranno la via a Karalibus, in viale Sant'Avendrace, ultimata in età traianea.

Carlotta Lai nel 1907 vi costruì Villa Laura la cui bellezza è oltraggiata dall'incuria con le tombe a pozzo, che i cartaginesi scavarono dal VI secolo a.C., simili a quelle a monte che custodiscono il corpus pittorico funerario più cospicuo del mondo punico.

La collina e il suo habitat rupestre, riutilizzato per millenni, fotografati integri nel 1854 da Édouard Delessert; nel 1887 da Theodor Mommsen; nel 1905 da Leopold Wagner, oggi sono un buco nero nel cuore della città. Attenzione che non diventino la nostra fabbrica “penicillina”. Quella della via Tiburtina.
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