«Cosa hai provato a Tuvixeddu»? L'interlocutore, in città per un'iniziativa “culturale”, risponde con lo sguardo di chi non sa su cosa venga interpellato.

Dopo qualche esitazione racconta di Tunisi e della vicina Sid Bou Said, luogo di elezione di Paul Klee e di André Gide; del Museo del Bardo, nuovamente frequentato dopo la strage del 2015; della collina di Byrsa a Carthage con la chiesa di Saint Louis e la necropoli punica nel luogo matrice dell'etnico che ha segnato anche la Sardegna.

Come replicare che le tombe di Tunisi sono lacerti rispetto a quelle della necropoli di Tuvixeddu in un resiliente compendio storico ambientale di 50 ettari, nel cuore della città che non è riuscita a divorare un'indicibile stratificazione monumentale, ignota all'ospite e a molti Sardi? Un unicum con i Fori romani.

Come narrare, senza cadere nel ridicolo, che tuttora per qualcuno è una privata “proprietà perfetta” piuttosto che un'area a tutela integrale dove l'interesse generale è prevalente?

Come riassumere un'esemplare storia di disprezzo del paesaggio e del bene comune da parte persino di pubblici decisori?

Si ha paura di scivolare nel colore locale nel rammentare che per Giovanni Lilliu è il “colle sacro dei Sardi” e per Ferruccio Barreca "intoccabile", protetto dal dio Bes, rinvenuto in via Is Maglias, una strada funeraria durante le fasi punica e romana, parallela a quella più nota che il viale Sant'Avendrace ricalca.

Come declinare con le disavventure della più estesa tra le necropoli cartaginesi che Saint Louis è lo stesso Luigi IX che, prima di morire a Tunisi nell'agosto del 1270, sostò per giorni nella rada di Cagliari che, ormai pisana, non gli aprì le porte?

La risposta abita la chiarificatrice frase di Marcel Proust: «La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l'arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli».
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