L e attuali retoriche nuragocentriche ricordano altre stagioni della Sardegna. Quella che costruì i falsi bronzetti, che nell'Ottocento invasero il Museo Archeologico e approdarono persino in Europa, e le Carte di Arborea, pure esse prodotte in città. Una fragile e ancillare classe dirigente fuggiva dalla realtà verso un passato risarcitorio quanto improbabile col supporto di un diffuso sentimento popolare. La Sardegna imparò ad inventarsi un sostrato fantasmatico per occultare le derive dell'incipiente modernità: un case study di sovranismo retroattivo. Ci pensarono Theodor Mommsen e l'Accademia di Berlino nel 1870 a smascherare l'inganno che tuttavia non ha modificato le intitolazioni di strade, vie, piazze e squadre di calcio ad eroi immaginari mentre si continua tuttora a negarle a sardi e sarde illustri. A maggior ragione urge rigettare oggi ricostruzioni immaginifiche; prendere le misure agli stravolgimenti storici che abitano persino le istituzioni; problematizzare le tensioni; riattivare finalmente la dialettica con la progettualità.

Il primo passo è sottrarre il passato alle turistizzanti narrazioni sul patrimonio culturale, spesso improbabili e nient'affatto produttive. Si rimane delusi infatti dagli accessi ai luoghi della cultura gestiti soprattutto da soggetti privati, finanziati dalla Regione. Costruire informazioni, prosciugate da mitocentrismi ed efficaci nel trasferimento di conoscenze, richiede cultura e competenze. Un confronto con gli stardard di musei, biblioteche, archivi francesi aiuta ad intendere lo stato dell'arte del settore nell'isola. La caduta dialettica tra la complessità di un luogo stratificato, Cagliari in testa, e una consapevole pianificazione è leggibile proprio nella scarsità di aree archeologiche disponibili e nella mortificante messa in valore delle stesse. Non si finirà di rimpiangere il Betile, museo di un'architetta tra le più importanti al mondo che la morte prematura ha reso inarrivabile e boicottato da non si sa più quale Carneade. Quanto l'assenza di storia e geografia della Sardegna nei curricoli scolastici produca persino mostri lo si vede in quella vicenda e di recente nelle diatribe su ciò che dovrebbe rappresentare la città. Che Giovanni Lilliu pensasse alle fragili pedagogie degli attuali decisori quando volle due grandi fabbriche di cultura sarda: ISRE e Scuola di Studi Sardi? Non è un caso che siano in affanno.
© Riproduzione riservata