Refrigerium è parola che potrebbe riassumere i riti che in questi giorni si svolgono in Sardegna.

Alcuni attestano sorprendenti resilienze dalle genesi disparate e sincretismi che variamente combinati continuano ad essere frequentati nell'insegretimento del lutto, pur essendo inattuali.

Altri, per le aberrazioni turistiche, sono proposti con accattivanti immagini e la complicità dei decisori politici, convinti che così si è più sardi. Folclore che oggi in Sardegna interpella sul rapporto con la morte come cartina di tornasole della perdita di senso.

Refrigerare attiene alla sfera del rinfrescare, del confortare, dell'avere sollievo rivolti al defunto attraverso la libagione sulla tomba, locum refrigerii, nel giorno della morte, dies natalis per il cristiano.

Affreschi e bassorilievi, fonti letterarie ed epigrafiche raccontano il rito la cui origine si perde nel tempo e nei sostrati, sopravvissuti nelle civitates, che il refrigerium già celebravano.

Il banchetto funerario divenne, specie nei loca martyrum, spazio sociale della civitas; si effettuava sia sub divo, all'aperto, sia in triclia, ambienti dedicati, con l'allestimento di mensae, lastre lapidee, mosaicate, o intonacate, sulle tombe dotate di fori per introdurvi liquidi e cibi nell'illusione che il defunto partecipasse.

In Sardegna sono documentate fino al VII secolo; ma ritualità e contenuti del refrigerium persistono nei banchetti ristoratori nei giorni del lutto, delle ricorrenze, della liturgia dei defunti, in cui si intravvedono indizi di differenti etnici e tradizioni.

Una visita alle aree di San Saturnino, Bonaria, viale Sant'Avendrace, loca refrigerii per eccellenza, sarebbe illuminante se fossero accessibili e allestite.

Intanto ascoltiamo i depositi di memoria che sono i grandi anziani; riconosciamo valore alle loro geografie, materiali e immateriali, e a quelle delle comunità. E' il vero commemorare.
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