N on conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci. E, se siamo fedeli al nostro compito, arriva al cielo la nostra statura: così Emily Dickinson nella sua “Lettera al mondo”. Parole che tradiscono una potente interiorità e insieme una pudicissima negazione. Vi si agitano milioni di ombre del passato ma anche noi che abitiamo questo futuro incerto, non-luogo del femminile. Nella piena dignità e nella res publica, solo apparentemente, come la brutalità della cronaca rivela. «Andò al capestro la stregoneria, nella storia, però la storia e io sappiamo essere streghe quanto occorre qui tra di noi ogni giorno». Che militanza professa, nella sperduta provincia americana dell'Ottocento, la Dickinson attraverso la poesia! Che forza nelle sue parole che risuonano ancora e interpellano, eversive, la nostra coscienza. Parlano di noi, oggi, e oltrepassano ogni tentativo di delegittimazione che la politica prospetta ogni volta che dei maschi si propongono di intermediare per le donne nei ruoli elettivi come se non potessimo farlo in prima persona o non ci fossero mille differenze nella differenza di genere. Eppure il 5 marzo scorso, nei locali del giornale, ne ha visto alcune presentare “Le donne nelle cronache de L'Unione Sarda” di Maria Francesca Chiappe. Un tentativo di ricucire passato e presente per oltrepassare antiche e recenti misoginie e prendersi cura, senza risentimenti, di scienziate, professioniste, intellettuali, politiche, rese invisibili da uomini per i quali era impossibile che i problemi di una metà del cielo si risolvessero nell'altra metà. Ma queste sorelle, la cui assenza ha affollato anche il giornale, sapevano che il loro golgota avrebbe dato vita alla più grande rivoluzione culturale della storia dopo il Cristianesimo? Pacifica ed efficace più della gandiana. Non lo sapevano. Lo sapeva un'élite, fossero lavoratrici sfruttate o aristocratiche, di sangue e di testa, invaghite del proletariato e ossessionate dalla sete di giustizia. Lo sapevano poetesse e filosofe, scienziate e artiste. La loro battaglia fu un messaggio al futuro, messo come in una bottiglia tra le righe di un quotidiano, e consegnato allo tsunami della contemporaneità. A noi la capacità di decifrarlo da Grazia Deledda alla meno conosciuta Maria Manca, cui la prima deve assai. Si fece sarda e fu a Cagliari un'instancabile seminatrice di idee e di iniziative.
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