A ben vedere il faccia a faccia belligerante tra i due principali volti del M5s nel governo è molto più che una notizia: Giuseppe Conte alla resa dei conti (sui conti) con Luigi Di Maio è un caso. Infatti le due principali anime del Movimento nel governo si fronteggiano dopo essersi divise - in questi giorni - con una geometria che solo la creatività della politica italiana poteva rendere possibile. Da un lato il premier alleato del Pd, dall'altro il ministro degli Esteri, alleato - di circostanza, ma pur sempre alleato - dell'odiato Matteo Renzi.

Nicola Zingaretti, che solo 40 giorni fa chiedeva discontinuità su Conte, oggi lo esalta: «Se si va al voto anticipato - mi ha detto - con lui candidato premier vinciamo noi». Persino Carlo Calenda, critico con la manovra e uscito dal Pd per via del Conte bis, lo sdogana: «Dai focus group che sto facendo in giro per l'Italia emerge come l'unico leader che ha un futuro». Se ce lo avessero pronosticato non ci avremmo creduto. La politica - diceva Otto Von Bismarck - è l'arte del possibile. In Italia è la scienza dell'impossibile.

Tema del contendere è la questione più antica e irrisolta della storia repubblicana, l'evasione fiscale. A cui Conte ha detto di voler fare la guerra senza se e senza ma: «Su questo tema, nel governo, mi assumo io, in prima persona, la responsabilità», ha ripetuto in una intervista a Marco Travaglio la settimana scorsa. E i provvedimenti-simbolo che agitano gli equilibri della maggioranza sono almeno sei. (...)

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