P er la seconda volta in quattro anni gli italiani andranno a votare per un referendum che gli chiede se vogliono dimezzare il loro Parlamento, tagliando il numero dei deputati. Non è una novità. La prima volta, nel 2016, il senso del quesito reale scomparve, e divenne - per volontà del diretto interessato - un plebiscito pro o contro Matteo Renzi (come andò a finire è noto, non è una consultazione che il senatore di Rignano ricordi volentieri). Vinse, come è noto, il No, e il governo cadde.

La seconda volta, quella che si celebra nel prossimo week end elettorale, il quesito sta diventando una sorta di prova di appello del M5s nei confronti del suo elettorato deluso: ci volete ancora bene o no? Siete ancora d'accordo con le nostre idee? Se la risposta è sì, votate sì. Per le strane alchimie della politica italiana, tuttavia, Luigi Di Maio e i suoi compagni sono riusciti a coinvolgere in questo sondaggio di gradimento (in due tempi) i loro alleati di governo vecchi e nuovi: prima Matteo Salvini che, controvoglia, aderì alla proposta del taglio, pur di siglare il patto dell'alleanza gialloverde. E poi Nicola Zingaretti che, altrettanto controvoglia, aderì alla proposta del taglio dei parlamentari, pur di siglare l'alleanza giallorossa (malgrado il Pd avesse votato contro questa proposta per ben tre volte).

Una curiosa eterogenesi dei fini: il partito più antico della politica italiana (la Lega) e il partito con la storia più antica (il Pd, erede del Pci-Pds-Ds), hanno dunque abbracciato la più antipolitica tra le bandiere del partito più giovane della politica italiana.

E tutto ciò avviene con un certo spirito gattopardistico, come certe vecchie dame che pensano di ringiovanire rifacendosi il look e mettendosi la minigonna.

È per questo che il voto in Parlamento è stato bulgaro nell'approvare la riforma e incerto nel recepirla, visto che molti parlamentari hanno successivamente aderito alla raccolta di firme per chiedere che si celebrasse il referendum Costituzionale confermativo: quindi, per la seconda volta non stiamo votando nel merito del quesito. Di fatto, questo voto è una somma di tutte queste debolezze, ed è una richiesta disperata dei tacchini che domandano agli elettori se sono d'accordo sul fatto che finiscano tutti nel forno. Buffo, no?

Tuttavia, dal punto di vista pratico la realtà è molto diversa dall'apparenza, e - per stare allo slogan più adoperato - non si risparmia proprio nulla: i costi di tutta la macchina amministrativa del Parlamento resisterebbero invariati (dagli immobili al personale) e questo fa sí che invece di un risparmio si tratterebbe di uno spreco: immaginate un grande albergo che paga affitto e forniture invariati e che però sceglie di dimezzare il personale, mantenendo invariato il numero delle camere da servire. Se fosse un imprenditore a raccontarci di questa pensata, gli daremmo sicuramente del matto. Ma siccome siamo sempre nel Paese più pazzo del mondo, qualcuno ci racconta che è una grande trovata.

Un altro paradosso è che il prezzo più alto, se dovessero vincere il Sì, lo pagheranno i grillini: perderebbero metà degli eletti per effetto del taglio, e un'altra metà per effetto del dimezzamento dei consensi che si è verificato in questi intensissimi anni: una decimazione, un modo curioso di festeggiare una vittoria. Il che rivela un altro bel paradosso: ci racconta che i tempi della politica sono così rapidi che quando Beppe Grillo è riuscito ad impugnare l'apriscatole per scoperchiare la famosa “scatoletta di tonno”, dentro non ci ha trovato più i rappresentanti degli odiati partiti, già sloggiati all'insegna del “Vaffa” nel 2018, ma i suoi stessi attivisti, oggi diventati a tutti gli effetti “casta”.

In proposito mi ha molto divertito una battuta dell'ex deputato del Pd Gianni Cuperlo, sostenitore del No, che dice ai suoi sfidanti del M5s: «Io che secondo voi dovrei essere la famigerata casta sono un ex parlamentare senza indennità, e oggi cassaintegrato al 50% dello stipendio. Voi che dovreste essere l'anticasta - ironizza Cuperlo - siete tutti parlamentari con 14mila euro al mese!».

In realtà, su un punto Luigi Di Maio e il M5s hanno ragione. Anche se stiamo votando l'ennesima riforma propugnata a colpi di accetta, senza contrappesi né forme di riequilibrio, anche se stiamo togliendo rappresentanza ai cittadini ai territori (che secondo me non è buona cosa, pensiamo ad esempio alle zone interne della Sardegna), stiamo tornando a votare, di fatto, per lo stesso quesito di due anni fa: volete voi un altro giro di antipolitica, sì o no? È curioso che se gli italiani dovessero dire di sì, farebbero invecchiare tutta la politica italiana. A partire dai rappresentanti dell'antipolitica.

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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