La mascherina che ci divide
Luca TeleseU n grande immunologo britannico, Peter Medawar, ha coniato una battuta folgorante e perfetta per descrivere il nostro stato d'animo di questi giorni: «I virus non sono altro che cattive notizie incartate dentro una proteina».
Nel giorno in cui si contagia il leader del Paese più potente del mondo, il Covid-19 torna ad imporre la sua agenda al mondo, monopolizza i media, suscita panico, e in Italia si discute sulla cosiddetta impennata dei contagi. Anche per questo il coronavirus di Donald Trump resterà come lo spartiacque di un'epoca, e la cronaca sanitaria della sua malattia influenzerà direttamente il risultato delle presidenziali più importanti dell'ultimo decennio.
Ma per quanto le suggestioni possano essere infinite, e affascinanti, bisogna partire dall'idea che il virus non ha preferenze politiche. Il virus non odia i sovranisti, non tifa per Biden e nemmeno vota per corrispondenza: ma in compenso corre veloce e ci vede benissimo. Prolifera dove non si usano dispositivi e distanziamento sociale, colpisce preferenzialmente chi combatte una guerra ideologica alla mascherina (e finge di non sapere che non è un feticcio ma uno strumento), non ama e non odia, cerca solo ospiti in cui sopravvivere e riprodursi.
Ecco perché l'immagine del duello per la presidenza degli Stati Uniti che rimarrà, con il senno di poi, non è quella degli insulti che dimenticheremo presto (“Sei solo un clown!”, “Taci socialista!”) ma quel fermo immagine delle due famiglie al seguito dei candidati.
L e due famiglie inquadrate mentre ascoltano il dibattito: i Trump tutti senza mascherina, i Biden tutti incartati nelle FFP2. Scopriremmo nelle prossime 48 ore se quella tutela ha funzionato.
Il tema, dunque, se ci spostiamo dal contagio presidenziale in America a casa nostra, e se passiamo al bollettino di guerra italiano, è cercare di rimanere lucidi senza cadere nella rete della doppia propaganda, né in quella dei negazionisti, cioè, né tantomeno in quella dei drammatizzatori. Ed il punto è questo: i contagi in Italia stanno salendo, e - prepariamoci - saliranno ancora. Il picco critico si toccherà tra due settimane quando entreranno in circolo (pochi o tanti, speriamo pochi) i contagi aggiuntivi prodotti dalla riapertura della scuole.
Ma a meno di terremoti (che si potranno verificare solo quando arriva quel dato), la crescita di queste ore non è una notizia che può sorprenderci. Continuerà, perché è già in atto: basta leggere con attenzione la progressione che ci mostrano i preziosi rilevamenti del Gimbe, la fondazione guidata di Nino Cartabellotta. Nella sequenza di numeri isolata giovedì nel report settimanale dell'istituto ci sono dati molto interessanti (sia per l'Italia che per la Sardegna). Il 21 luglio c'erano nel nostro paese 732 contagi e solo 49 malati in terapia intensiva. Ma dal 21 agosto questi numeri hanno iniziato a crescere (mille contagi, 100 terapie) e la settimana scorsa si sono triplicati: tremila contagi e 278 terapie. Non è una curva fuori controllo, gli analisti la chiamano progressione lineare: questo significa - secondo il Gimbe - che se tutto prosegue così, a dicembre i contagiati settimanali saranno di certo più di diecimila e le terapie intensive più di mille. Tuttavia, se si resta in questo ordine di grandezza il nostro sistema sanitario nazionale ha tutto quel che serve per tenere a bada la crescita dei ricoveri, non si può riprodurre il collasso della primavera scorsa.
In questi stessi numeri c'e però un dato che per la Sardegna è da tenere sotto controllo, ed è il rapporto tra i positivi/casi testati: nell'Isola questa settimana i primi erano il 4.2% dei secondi. La media nazionale è il 3.1% (mentre il dato della Lombardia è sorprendentemente dell'1.9%). Questo fa immaginare ai ricercatori del Gimbe che nel Nord (che è stato più colpito in primavera) inizia a prodursi un principio di immunità di gregge. Mentre la Sardegna, che fino a luglio era Covid free, può essere più vulnerabile.
Quindi il tema dell'obbligo di mascherina all'aperto su cui la politica ieri si è divisa (Nicola Zingaretti per il sí, Luca Zaia per il no) non è una bandiera politica, non è di destra o di sinistra, non è l'ultima coda venefica del dibattito Trump-Biden, e nemmeno può diventare l'ennesimo atto della guerra tra drammatizzatori e negazionisti. La mascherina è l'unico freno che possiamo tirare quando la curva dei contagi sale: lasciamo che le cattive notizie - come direbbe Medawar - restino incartate nella loro venefica proteina.
LUCA TELESE
GIORNALISTA
E AUTORE TELEVISIVO