La Francia tra due incubi
Luca TeleseU na donna decapitata, un sagrestano sgozzato, una terza donna con la gola recisa che, rifugiatasi in un bar, muore poco dopo l'attacco. Sono fotogrammi di un film dell'orrore quelli che attraversano l'Europa e ci colpiscono al cuore, partendo dalla mattanza di ieri, nella basilica di Notre Dame di Nizza.
La Francia si ritrova stretta fra terrore e terrorismo: il terrore del virus fuori controllo, e la bassa macelleria del terrorismo islamista, assassino e cieco, altrettanto fuori controllo. Questa strage non riguarda solo i francesi, però, ma tutti noi. Queste coltellate arrivano da un fanatico integralista che è sbarcato a casa nostra, a Lampedusa. L'assassino di Nizza è arrivato da Tunisi via mare, si è sottratto al controllo delle polizie e delle associazioni umanitarie, si è sommerso nel torpore della clandestinità, ed è riapparso in Francia armato e feroce, con il suo sorriso di assassino stampato sul viso, ed il suo coltello da macellaio stretto in pugno.
È una storia che ci riguarda non solo per via di questo transito di morte attraverso l'Italia. La Francia è sotto attacco, proprio nel momento in cui la pandemia la rende più vulnerabile, perché è diventata un simbolo di resistenza all'odio. Oggi Parigi è diventata di nuovo un bersaglio perché il presidente Emmanuel Macron si è impegnato a combattere quello che definisce il “separatismo islamista”, la rete di complicità nascosta nelle zone grigie tra il legittimo diritto di culto e l'inaccettabile predicazione fanatica.
M a la Francia è anche il Paese dei lumi di cui siamo tutti figli, è il Paese della democrazia repubblicana, il Paese delle libertà e della Marsigliese, il più antico canto di guerra che sia mai stato scritto contro l'integralismo.
Ed è proprio per questo motivo che, oggi, questa democrazia è nel mirino e con lei tutte le libertà dell'Occidente: il presidente turco Taryp Erdogan lancia il suo anatema contro Macron e - addirittura - invoca punizioni esemplari per via di una vignetta satirica del settimanale “Charlie Hebdo” in cui lui stesso viene raffigurato mentre scopre il fondoschiena di una donna (se in Francia avessero avuto il genio irriverente del nostro Giorgio Forattini oggi sarebbe di certo vittima di una fatwa). E in Francia, oggi, anche la scuola pubblica è un bersaglio dei macellai, dopo un'altra decapitazione barbara, quella di Samuel Paty, il professore condannato a morte dai fanatici islamisti perché aveva fatto lezione ai ragazzi parlando loro della satira contro l'integralismo.
Il messaggio è chiaro: vogliono toglierci anche il diritto di ridere, che è la prima libertà che abbiamo conquistato nel Secolo Novecento. Tornano a danzare davanti ai nostri occhi le scene drammatiche dell'attacco al Bataclan, lo spettro delle tante mattanze di questi anni: si risveglia la memoria di Atocha, la più grande strage ferroviaria nella storia d'Europa. Ho in mente una cerimonia bellissima a cui ho avuto la fortuna di assistere, nel 2009, quando nell'anniversario di quelle bombe sui treni gli spagnoli invitarono a Madrid tutte le vittime, di tutti i terrorismi d'Europa, per una giornata comune di memoria contro la violenza. Tutte le vittime simbolicamente riunite - da quelle degli anni di piombo in Italia, a quelli del terrorismo nazionalista nei Paesi Baschi o in Irlanda, a quelle del terrore internazionale - perché da quando è nato il terrorismo usa la paura contro il coraggio, il sangue contro le democrazie. Ho un ricordo bellissimo di quella giornata: una cerimonia sobria, elegantissima e carica di spirito civile. Immaginatevi la scena di un pianoforte a coda nero nel prato di un parco di Madrid, un ragazzo che suona una melodia improvvisata, fazzoletti neri nelle mani delle vittime, fiori bianchi infilati in un cerchio di alberi, uno per ognuno dei caduti.
Se proprio oggi voglio ricordare tutto questo è perché dobbiamo aggiungere idealmente altri tre fiori bianchi, a quelli dei tanti caduti di questa guerra spietata. E poi serrare le mascelle, come abbiamo fatto in passato, tirare dritto. Possono farci male ma non possono vincere. Loro lottano per una tirannia, noi ci difendiamo per garantire la libertà di espressione, la libertà di scegliere e di credere e di decidere, a partire da quella delle donne (minacciata dai mozzaorecchie misogini). Possono ferirci, è vero, ma non possono prevalere. E non possono vincere perché noi siamo solidali con tutti coloro che diventano vittime in nome della democrazia, e non accetteremo mai nessun burka, reale o simbolico.
Penso ai tre caduti di ieri a Nizza, penso al professore decapitato e so che in questo momento ci sono tutti ugualmente fratelli: siamo sempre più belli e più liberi di chi odia e uccide in nome di una anacronistica e fanatica Guerra Santa alla libertà.
LUCA TELESE
GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO