S i scrive Fca, ma in Italia si legge ancora Fiat. E di nuovo - nel nostro Paese - si combatte in questo nome. Dal dopoguerra ad oggi, in Italia, intorno al Lingotto sono deflagrate almeno tre sanguinose guerre puniche: quella vallettiana degli anni Cinquanta, quella “dei cancelli” del 1980 (chiusa dalla celebre marcia dei quarantamila), e quella tra Sergio Marchionne e Maurizio Landini (chiusa dal referendum Mirafiori del 2011), che tutti ricordano per la celebre ed esilarante parodia di Crozza: «Ho trovato un gatto morto nell'armadio. È Landini che mi fa gli scherzi!».

Fateci caso, questi conflitti son diventati sempre qualcosa di più di quello che erano in partenza: problema economico, poi sociale, e quindi inevitabilmente politico. Ognuno di questi conflitti ha avuto un effetto collaterale, quello di terremotare e dividere la sinistra, fare e disfare partiti trasversali e l'un contro l'altro armati. Sta verificandosi di nuovo anche per l'ultima battaglia - quella che si sta svolgendo in queste ore - e che aggiunge a tutte le altre una nuova complicazione: quella editoriale. Mai prima d'ora, infatti, alla Fiat era accaduto di ritrovarsi padrona di tre quotidiani.

E per di più investita dalla polemica alla vigilia di una nuova difficilissima fusione (l'ultima), bisognosa di denaro, in affanno per il ritardo tecnologico e colta in mezzo al guado dall'emergenza Covid. Il che ha portato molti a sostenere che John Elkann abbia voluto diventare editore prima di tutto per coprirsi le spalle nel momento più difficile della storia aziendale.

Tuttavia il tema che oggi rende la Fca-Fiat argomento di dibattito dirompente è questo: l'azienda chiede 6,3 miliardi di prestito a Banca Intesa. E riesce a chiudere questo munifico accordo grazie ad una garanzia decisiva offerta dallo Stato, ai fondi stanziati per l'emergenza Covid. Ma da anni, dopo la fusione con la Chrysler, la società ha anche spostato la sua residenza legale e fiscale rispettivamente in Olanda e in Inghilterra. E qui già si dibatte. A molti l'idea non va a genio, e persino un ex manager (della Ferrari) come Carlo Calenda, molto critico con l'operazione, sostiene: «Se vogliono la garanzia dello Stato italiano riportino la sede in Italia!».

Anche perché i problemi non sono finiti: per avere il via libera all'operazione Elkann ha promesso agli azionisti un ghiotto dividendo (di ben 5 miliardi di euro). Che di nuovo ha fatto avvampare la polemica. E questo aggrava ulteriormente la situazione, perché senza il dividendo la fusione con i francesi rischia di saltare. Tutto chiaro? Non ancora: come per un missile a stadi, nel finale deflagra l'ultima mina: la complicazione politico-editoriale. Infatti Andrea Orlando, numero due del Pd zingarettiano, ha messo il carico sul conflitto di interesse tra la filiera dell'auto e quella dell'informazione: «Nelle prossime settimane vivremo una serie di

attacchi al governo finalizzati alla sua caduta, ispirati anche da centri

economici e dell'informazione, non tanto per correggere come è lecito l'attività di governo ma - ha concluso l'ex ministro - per rivedere il patto di governo». Insomma, una piccola bomba atomica: Orlando dice che il Pd è contro il prestito se la Fiat mantiene le sedi amministrative fuori dall'Italia, mentre La Repubblica e La Stampa (i giornali del gruppo) si mettono in trincea per difendere la correttezza del prestito. A La Repubblica, giornale (un tempo) della borghesia progressista, Gad Lerner sbatte la porta dopo un articolo pro-Fiat. Ma le sorprese non sono finite perché Matteo Renzi, invece, si schiera con Fca: «Che male c'è? Sono soldi che restano in Italia».

Ed ecco perché il nuovo fronte di battaglia attraversa partiti, giornali, osservatori economici. Ecco perché, tradotto in parole povere, il sospetto di Orlando si fa devastante: come se Fca usasse i suoi giornali per fare pressioni sul governo, e rovesciarlo se non ottiene quello che vuole. Oggi il tema non è prendere posizione in questa guerra. Ma capire che chiunque la vinca, resteranno sul campo morti e feriti. E che se il governo sbaglia la mira il Pd si ritroverà in mezzo al fuoco delle trincee.

LUCA TELESE
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