C hristian Solinas: «Ecco le basi per il rilancio di questa importante infrastruttura». Paolo Truzzu: «Oggi possiamo finalmente avviare il lavoro per fare di Cagliari una città leader nel bacino del Mediterraneo e in Europa». Massimo Deiana: «Un risultato fondamentale per il porto di Cagliari». Frasi in un contesto, va detto subito. Gli altri toni sono persino più trionfalistici.

È il 23 luglio dell'anno della pandemia, il premier Giuseppe Conte, dopo un lungo lavorio della diplomazia politica sarda (gli va reso merito), spezza a sua firma (e senza invocare il Covid) lacci e lacciuoli del ministero dei Beni culturali sui lavori al Porto canale di Cagliari. Salta il tappo. Ed è un'esplosione di bollicine (in tutti i comunicati stampa, maggioranza, opposizione, sindacati) quella che accompagna la notizia dello sblocco di 130 milioni di euro per ammodernare il nostro terminal container nel cuore del Mediterraneo. Serve un nuovo appeal per attrarre i giganti (le multinazionali e le loro navi) del transhipment.

Su queste colonne, a inizio agosto, paragonammo le reazioni dei nostri politici al provvedimento di Conte, il 22 luglio 2020, a uno scudetto che si pensava di aver vinto senza aver nemmeno sudato la maglia. Domandammo: cosa si sta facendo, realmente, per far partire i lavori? Quanto ci vorrà? E nella rotta dei contenitori - Far East, Stati Uniti, Europa - chi si sta ponendo il problema di trovare partner affidabili? Nel silenzio di Palazzo arrivò di lì a poco (il 28 agosto) una proposta di concessione marittima.

A presentarla, in nome e per conto della cordata Pifim-Port of Amsterdam, l'imprenditore sardo Davide Pinna, “sedi” a Bolotana e a Londra. Mauro Pili, con le sue inchieste sull'Unione Sarda, aveva messo in evidenza da subito l'inconsistenza della proposta. Un campanello d'allarme? Macché, dalle parti di via Roma avevano vissuto con fastidio gli approfondimenti giornalistici. Salvo chiudere la partita giovedì scorso con una pec indirizzata alla Pifim Company Ltd. L'Autorità di sistema portuale del mare di Sardegna (sì, sì, si chiama proprio così), a firma del presidente Massimo Deiana, alle 12.09 ha rigettato in modo «definitivo» la richiesta di concessione. L'Aspd ha impiegato cinque mesi abbondanti per dire no, 11 (u-n-d-i-c-i) pagine fitte fitte per elencare progetti e documenti mai presentati. Cinque mesi abbondanti. Sei e passa da quell'entusiastica reazione («Un risultato fondamentale per il porto di Cagliari») seguita alla firma con cui Conte bocciava la Sovrintendenza.

Politici (di tutti i colori) e burocrati, ognuno per la sua parte di responsabilità, hanno contribuito a trasformare la grande banchina di Macchiareddu nel deserto dei tartari. Solo nebbia all'orizzonte. Non risponderanno mai dei costi sociali. Così come non pagherà dazio chi ha sedotto e abbandonato il Porto canale di Cagliari, quella Consthip Italia (tricolore nel nome e nei manager, tedesca nel cervello e nel cuore) che ha preferito fallire in Sardegna pur di favorire altri terminal nello scacchiere dei suoi interessi. Un atteggiamento spregiudicato e impunito. Dov'era la politica sarda quando il terminalista Cict (Cagliari international container terminal) riduceva il traffico verso il Golfo degli Angeli? Chi vigilava sul rispetto dei contratti? Chi marcava stretto Conthsip per garantire il mantenimento di rotte e posti di lavoro? Perché la concessione è stata revocata solo a fine 2019? Certo, dai rassicuranti comunicati stampa, mollata Pifim, si apprende che «ora guardiamo avanti». E con una grande motivazione. Eccola: «La certezza del potenziale dello scalo, avvertendo tutta la responsabilità nei confronti di centinaia di lavoratori che aspirano ad una risposta chiara e concreta per il loro futuro». Chi lo scrive? Chi ha impiegato cinque mesi abbondanti per rigettare un progetto apparso da subito lacunoso. In attesa di capire se e perché altre proposte siano rimaste inascoltate (l'inchiesta di Mauro Pili continua), può far ridere (e piangere) rilevare che in questo momento i lavori al Porto canale (i famosi 130 milioni) sono comunque bloccati dal nuovo Piano casa, approvato un mese fa dal Consiglio regionale. Sì, certo. «Ora guardiamo avanti».

EMANUELE DESSÌ
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