C hiamatela task force o corte dei miracoli. Ma che a Giuseppe Conte da Volturara Appula (Foggia) non piacesse la solita politica si era capito quasi subito. Sarà per la sua formazione all'ombra del grande diplomatico della Chiesa Achille Silvestrini, il cardinale morto (a 96 anni) il giorno del via libera al Conte bis. Sarà per la sua cultura e la sua esperienza professionale, avvocato civilista e docente universitario. Sarà perché non ha dovuto affrontare il giudizio delle urne per arrivare lassù. Sarà perché è fedele a Padre Pio.

Forse quando Luigi Di Maio lo ha sfilato dall'anonimato, proponendolo prima come ministro e poi come premier seppure commissariato (dallo stesso Di Maio e da Matteo Salvini), il professore non aveva ancora il quadro chiaro. Entrato in sintonia con Rocco Casalino, scelto dai pentastellati per la Comunicazione, Giuseppe Conte ci ha messo poco a orientarsi nei corridoi dalle parti di Piazza Colonna. Imparando presto a tirar su il bavero per difendersi dagli spifferi nei vicoli della Roma che conta o vorrebbe contare. E senza mai scompigliare il ciuffo.

Uscito rafforzato dallo scontro con uno dei due commissari, il vicepremier Matteo Salvini, Conte ha dovuto prendere atto - maledetto Covid - dello smantellamento della sanità territoriale dalle Alpi allo Stivale (Sardegna compresa, eccome), voluto negli ultimi decenni da tutto l'arco costituzionale, passando anche per il governo tecnico dei professoroni con il Loden che volevano spaccare l'euro in quattro.

C on pochi soldati e con poche mascherine, Giuseppe Conte ha alleggerito i troppi compiti della Protezione civile, nominando in qualità di commissario per l'emergenza (ovvero tutto quello che gli pare) il manager di Invitalia Domenico Arcuri, scuola D'Alema.

Poi il premier ha trovato la sponda dei Cinque Stelle e il naso turato del Partito democratico per affidare il rilancio del Paese alla corte di esperti (sì, quella, la task force) di Vittorio Colao, scomodatosi dall'Inghilterra per prendere per mano gli italiani lungo la Fase due.

Chiediamoci insieme cosa sia rimasto dei dieci-giorni-dieci degli Stati Generali a Villa Pamphili, a parte qualche fotografia delle auto blu e dei tavoloni. Di sicuro Conte ha sedotto e abbandonato anche Colao che, di recente, ha rivendicato - in fondo era il supermanager di Vodafone - i buoni risultati sul fronte della digitalizzazione. Bravissimo per ora a girare al largo dalla trappola mortale del Mes-sì (Pd) e Mes-no (Cinque Stelle), il nostro presidente del Consiglio dei ministeri si è mosso bene anche a Bruxelles nella partita del Recovery fund, considerata la nomea dell'Italia (ventre molle nel Club Med), portando a casa 209 miliardi. Tra chi giura che il nostro Pil rimbalzerà oltre il Monte Bianco e chi «il Piano Marshall impallidirebbe», l'avvocato del popolo Giuseppe Giuseppe, per accompagnare questo fiume di denaro, aveva già deciso di affidarsi a una nuova corte dei miracoli. E tra la sponda dei Cinque Stelle e il solito Partito democratico con il naso turato, ci ha pensato quel giamburrasca di Matteo Renzi, con il suo 3%, a fare casino. C'è chi pronostica che Conte possa interrare (alla sarda) anche lui, ma una crisi di Governo proprio ora non piace nemmeno all'ex sindaco di Firenze che si fece premier. Resta il problema di spendere (e di spendere bene) tutti quei soldi. E se i soloni di una nuova task force qualche brivido ce lo hanno fatto venire, spaventa persino di più l'elenco e l'elenchino di grandi e soprattutto piccoli progetti presentati qua e là nelle nostre litigiosissime regioni.

A proposito di spesa buona e giusta, pensate a cosa sta accadendo a Cagliari attorno a viale Marconi. C'era un bivio, guarda caso: o spendere i soldi o perderli. Meglio niente? È una strada. Un po' come per le piste ciclabili, realizzate (con tanto di supercordolo) e mollate lì da un anno in attesa di un collaudo. Un pericolo pubblico nel silenzio di tutti, forze dell'ordine comprese. Meglio niente? È una strada. Visto che siamo tornati per un attimo dalle nostre parti, che dire della riforma regionale della sanità? Siamo quasi a metà mandato e convivono Ares (il nuovo che avanza) e Ats (il vecchio, in liquidazione). I partiti del centrodestra litigano su poltrone, poltroncine e seggiole, ma intanto non trovano manager con i titoli giusti (sì, sì, non li trovano, è proprio una questione di numeri) cui affidare la gestione della nostra salute declinata, di nuovo, in otto-Asl-otto.

Sarà anche per questo che a Palazzo Chigi Giuseppe Conte, già studente a Villa Nazareth e devoto di Padre Pio, vuole commissariare la politica con le task force o, se vi piace di più, con le corti dei miracoli. Settantatré anni fa (la ricorrenza il 27 dicembre, saremo rossi) Enrico De Nicola firmava la Costituzione italiana. Solo l'articolo 1: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo». Qualcosa non torna, da qualsiasi angolazione si osservi. E il Covid no, non c'entra nulla.

EMANUELE DESSÌ
© Riproduzione riservata