N on ci eravamo illusi che l'anno nuovo avrebbe portato la buona novella dei lavori per la dorsale sarda, metano prima e idrogeno poi. Ma non ci aspettavamo nemmeno che per l'Epifania, con incenso, oro e mirra, arrivasse il possibile pacco del deposito unico nazionale per le scorie nucleari. Se preferiamo la versione laica della festa, la Befana, come si conviene, è arrivata di notte, promettendo ai sardi carbone nucleare da custodire, nei secoli dei secoli, sotto la terra dei nuraghi, tra Alto Campidano, Grighine, Monte Arci, Marmilla e Gerrei.

La Sardegna condivide il rischio - e la rivolta - con Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata e Sicilia. Hanno provato a spegnere (per primi) gli incendi i rappresentanti del Governo espressione dei territori. Da noi Giulio Calvisi e Alessandra Todde, sottosegretari alla Difesa e allo Sviluppo economico. Si sono affrettati a dire che quello pubblicato nottetempo da Sogin (società di Stato nata per smantellare le centrali nucleari) è solo uno studio tecnico, non c'è (ancora) alcun avallo politico. Peraltro la “Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee” non è un nostro capriccio, ce la chiede l'Europa, pena una procedura di infrazione. Certo, direte, da qualche parte dovranno pur seppellirli quei cadaveri radioattivi. Il ministro dell'Ambiente Sergio Costa ci ha tenuto a ricordarlo: chi governa deve avere senso di responsabilità. Ma l'Italia è un Paese democratico, ha aggiunto subito, ci vorrà una consultazione. Insomma, con e non contro il popolo sovrano.

G enerale dell'Arma in aspettativa, Costa sa cos'è la ragion di Stato. Che in questo momento di crisi politica e di emergenza pandemica impone di evitare un nuovo scontro con le Regioni e con milioni di italiani. Il problema sembra solo rimandato ma nessuno, soprattutto dalle nostre parti, ha intenzione di abbassare la guardia. Dopo la straordinaria mobilitazione nel 2003, anche con il vessillo blu dell'Unione Sarda “No alle scorie”, confidavamo di aver scongiurato l'accanimento di Sogin. Così non è stato. Ma qui nessuno vuole quei trenta denari per una nuova servitù, abbiamo già dato. Da profani viene da pensare che una strada possa essere quella di tenere le scorie nei cimiteri nucleari, in una delle quattro centrali italiane che dal 1958 al 1987 hanno prodotto energia dall'atomo. Nei quattro siti Sogin ha in corso una fase di “decommissioning”: sta rimuovendo il combustibile nucleare, prima di decontaminare e demolire gli impianti. Il deposito nazionale accoglierà rifiuti vecchi (legati alle ex centrali, ma anche ad altre decine di impianti produttivi) e nuovi, difficili da quantificare.

Nel bilancio di sostenibilità 2019 del Gruppo Sogin (che si occupa anche dei residui delle attività di medicina nucleare e di ricerca scientifica e tecnologica) si legge che nel deposito temporaneo di Casaccia (Roma) ci sono 8.400 metri cubi di rifiuti radioattivi. La rivolta popolare sarda ha l'obiettivo di evitare che qualcuno decida di impacchettarli e spedirli sull'altra sponda. Già, il mare. Dovrebbe essere un ostacolo insormontabile per trasferire scorie nucleari. Ma, come rivelato da Mauro Pili sull'Unione Sarda di giovedì, Sogin si è già coperta le spalle con una polizza «per il rischio per responsabilità connesse al trasporto marittimo».

No, qualcosa non torna, nonostante le rassicurazioni del Governo: è solo un piano, la voce del territorio, ripetono a Roma, sarà ascoltata, eccome. Già, come per la metanizzazione della Sardegna. La già citata Alessandra Todde, sarda di Nuoro, manager in aspettativa in quota Cinque Stelle, è la prima firmataria del necrologio della dorsale sarda, una rete che sotto un metro e mezzo di terra trasporterebbe metano domani e idrogeno dopodomani. Un no politico tollerato dal Pd che stride con una serie di autorizzazioni ambientali per la stessa dorsale, firmate anche dal ministro Costa, pentastellato come la Todde. In attesa che qualcosa torni, ci si può aggrappare, se non ai rimpasti (la politica faccia il suo corso) ai ripensamenti. Ricordate il Tap, il gasdotto Trans-Adriatico Grecia-Puglia? Ai tempi di Renzi, e persino dopo, i Cinque Stelle ulularono il loro dissenso, tirando su le barricate. Si sono rimangiati tutto. E oggi, anche in questo momento, il gas dell'Azerbaijan arriva in Italia via Tap. Lavori costati 4 miliardi e realizzati da Snam, che per l'Isola ha, pronta cassa, 550 milioni per la dorsale. In Puglia, sopra quel metro e mezzo di terra, su quel tubo che oggi trasporta metano e domani idrogeno, sono persino tornati gli ulivi, motivo di mille battaglie, politiche e ambientali. Il fatto che quella regione abbia dato i natali a Giuseppe Conte potrebbe essere, in questa storia, solo una coincidenza. Di sicuro noi sardi, quando contiamo qualcosa più del due di briscola a Roma, facciamo poco o nulla per la Sardegna. Per la nostra bolletta energetica servirebbe una mobilitazione come quella in atto per dire sayonara alle scorie nucleari. Il presidente della Regione Christian Solinas, in una recente intervista con Giulio Zasso, ha sottolineato che l'idrogeno è strategico per la Sardegna. Siamo certi che non si riferisse solo ai progetti per le colonnine che alimenteranno i pullman dell'Arst.

EMANUELE DESSÌ
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