“ P er due milioni e mezzo di anni gli uomini si sono nutriti raccogliendo piante e cacciando animali che vivevano e crescevano senza il loro intervento. Tutto questo cambiò circa diecimila anni fa quando i Sapiens cominciarono a dedicare quasi tutto il loro tempo e le loro energie a manipolare l'esistenza di poche specie di piante e di animali. Fu una rivoluzione nel modo di vivere degli umani: la Rivoluzione Agricola”, leggo dal famoso libro di Harari, “Sapiens, da animali a dèi”.

Harari chiama quest'epocale passaggio “la più grande impostura della storia” in quanto foriero di un'esistenza generalmente più difficile e meno appagante per il singolo, di esplosioni demografiche incontrollate, dello sbocciare di élite viziate e dominanti, del trionfo della violenza e ancora dell'estinzione del 50% circa delle specie animali conosciute. Inoltre, giacché l'evoluzione bada principalmente a quante eliche di DNA riesce a replicare (ne fa fede il fatto che ormai siamo quasi otto miliardi di umani), si è allargata la forbice tra il successo evoluzionistico e la sofferenza individuale, anche animale. Se non è chiaro, pensiamo solo alla vita di un vitello in un allevamento intensivo.

V iene subito separato dalla madre, rinchiuso in una gabbia appena più grande di lui, ucciso dopo pochissimi mesi senza aver avuto contatti con i simili se non nel tragitto verso il mattatoio. Animali “funzionali”, cereali funzionali, reti e ordini costituiti funzionali.

Questa prospettiva non positiva di Harari è difficilmente ricevibile per noi privilegiati, per le centinaia di milioni di persone che godono del frutto più visibile e auspicato dell'evoluzione, il benessere economico e sociale. Tendiamo a rimuovere quanto sia costato e costi ancora oggi il nostro modello di vita, lo difendiamo con i denti ma rifiutiamo l'idea che possa essere una sovrastruttura temporanea e tutto sommato fragile.

Siamo così focalizzati sulla nostra sopravvivenza biologica che persino le ideologie vi si adattano come una seconda pelle: le élite viziate e dominanti si propugnano pertanto progressiste non perché stiano marciando col popolo verso il “sol dell'avvenire” ma perché stanno disegnando un futuro ancor più oligarchico e funzionale, appunto. D'altronde non dimentichiamo che l'homo Sapiens si è affermato sulla terra non in forza di una superiore intelligenza (i Neanderthal ad esempio avevano un cervello più sviluppato, erano più muscolosi dei Sapiens, e si prendevano cura dei malati e degli infermi) ma semplicemente grazie a una più marcata aggressività sociale e alla dirompenza di un linguaggio basilare.

I Sapiens, almeno così sembra, erano i barbari di allora (“A loro spetta il triste primato di essere la specie più ferale che esista negli annali della biologia”), poco tolleranti, quelli che per primi hanno usato violenza sistematica sino al genocidio - ci sorprendiamo di questo specchio storico-genetico?

Ci sorprendiamo che, quali barbari, ci comportiamo ancora con cieca arroganza, neghiamo l'insegnamento della storia, rifiutiamo anche le evidenze che non sono coerenti con la nostra narrazione di comodo?

La lezione dell'epidemia di coronavirus è in fondo questa, con brutale sintesi: nessuna umiltà di capire che ci sono forze che, una volta scatenate, vanno oltre la nostra capacità di controllarle (come dice il professor Luca Pani: «I virus sono i padroni del mondo e lo possono dimostrare quando vogliono, soprattutto se noi, quelli di noi che hanno la responsabilità di decidere, non hanno veramente idea di che cosa stia succedendo»); incapacità di leggere e affrontare la realtà se non sottomettendola ai nostri paradigmi e desideri (non si spiegherebbe altrimenti la proliferazione delle armi atomiche o batteriologiche); nessuna voglia di imparare dalle esperienze passate e recenti, sia proprie, sia di altri, e di apportare drastici cambiamenti in anticipo; acquiescenza di fronte alla violenza, se compiuta dalla nostra tribù a spese di altre; cecità assoluta verso i propri errori, anche se costano centinaia o migliaia di morti, come oggi in Italia.

C'è però un aspetto valido che Harari riconosce ai Sapiens, l'avvento del futuro, l'importanza dell'avvenire, l'assillo per quanto dovrà succedere. Siamo otto miliardi sulla terra, in bilico, in disequilibrio, facciamo della preoccupazione la nostra stella cometa, lasciamo ai barbari il “tutto sotto controllo”.

CIRIACO OFFEDDU

MANAGER E SCRITTORE
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