Gramsci e il pecorino
Ciriaco OffedduR isale a quasi cento anni fa - lo rilevo perché la profondità storica va rispettata - la vicenda di quell'esperienza cooperativo-industriale, la Fedlac, che, all'interno del fascismo, credeva di aver trovato spazio per un'iniziativa sardista nel tentativo di rompere il sistema di completa dipendenza imposto dai monopoli caseari.
L'iniziativa faceva capo a Paolo Pili, ex dirigente sardista, passato al PNF con la fusione del 1923. Continuiamo a seguire lo scritto di Antonello Mattone: «Gramsci si era interessato vivamente all'esperimento della Fedlac, e in una lettera dal carcere al fratello Carlo, datata 1929, mostra di aver colto ciò che rappresentava Pili e le ripercussioni che la sua attività avrebbe avuto, e la colossale forza che gli si opponeva, che certamente non poteva rimanere inerte a contemplare la sua progressiva rovina».
La colossale forza di cui Gramsci scrive era rappresentata dal monopolio dell'industria casearia, che si opponeva all'indirizzo unitario che la Fedlac aveva dato alla produzione attraverso la commercializzazione diretta del prodotto, grazie anche a un contratto stipulato a New York con la ditta “Galle & Co” che interessava una quantità rilevante di formaggio, 50mila quintali annui. Come scritto da Pili e riportato da Angelo Abis, «è possibile che i sardi debbano lasciarsi governare dai monopoli? Mi misi in testa di mettere la produzione casearia nelle mani dei pastori, togliendola a quei signori. Creai delle latterie sociali. In principio furono 15, altre erano già presenti da prima, come quella di Bortigali e di Bonorva». (...)
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