L a battaglia per l'archeologia sarda non è solo accademica. Non si confrontano due teorie (da una parte quella di un frammentato popolo di pelliti usi a combattersi ciecamente tra villaggi, arroccati nei nuraghi-fortezze, privi di una lingua scritta e di una visione d'insieme, tecnologicamente sottosviluppati e costretti all'isolamento dall'incapacità di navigare; dall'altra quella di una civiltà che primeggia nel Mediterraneo, i “Costruttori di Torri” che usano navi evolute e lasciano tracce anche oltre le colonne d'Ercole, che coltivano viti e meloni diecimila anni prima di Cristo, legati in stretta federazione e adepti di una religione capace di sviluppare decine di migliaia di centri di culto, artisti sopraffini e tecnologicamente all'avanguardia, scienziati e soldati temibili che s'impongono sin in Egitto e che sconfiggono i Romani anche in campo aperto, come raccontato da Tito Livio).

Ormai non si confrontano più queste teorie, perché le prove che via via sono emerse e continuano ogni giorno a rivelarsi a favore della seconda (ultime le iscrizioni, la lingua scritta nascosta) sono ormai dirompenti, incontrovertibili. E perché la scoperta dei Giganti di Mont' e Prama è stata un'esplosione che ha cancellato decine d'anni di superficialità scientifiche, di ritrosie e omissioni, di false piste e bugie. Non è un caso che i primi Giganti (la cui datazione oscilla dal IX addirittura al XIII secolo a.C.!) siano stati nascosti per ventisette anni in un magazzino prima di essere mostrati all'opinione pubblica. (...)

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