Pesa come un macigno il debito pubblico e le previsioni di crescita, irrealistiche e enfatizzate, riportano il rapporto Deficit/PIL sotto la soglia di guardia. La legge di stabilità è come una camomilla per un malato, l'Italia, affetto da patologie ben più gravi.

Quale rimedio? Tutti, in vista di varie tornate elettorali, invocano lavoro, occupazione, crescita. Ma quale lavoro? L'acciaio dell'Ilva o della Lucchini? I treni di Ansaldo Breda? Le miniere del Sulcis iglesiente? D'accordo, il manifatturiero va protetto e incentivato. Ce lo chiede anche l'Europa. Ma ci basta?

Nessuno, o quasi, parla di cultura, di patrimonio artistico e architettonico come fattori di crescita e di occupazione. Quasi che il vero tesoro del nostro Paese rappresenti un handicap, una zavorra, un ulteriore aggravio per le finanze pubbliche.

Eppure l'Italia è il Paese col maggior numero di siti Unesco: 49. Dal 1997 uno di essi è in Sardegna: Su Nuraxi, nel comune di Barumini (lo sapevate?). L'Italia è una cosiddetta source nation , cioè un luogo ove l'offerta di beni culturali eccede largamente la domanda. All'opposto sono le market nations, cioè Paesi ove accade il contrario: molta più domanda che offerta. I beni culturali, per definizione, non sono rivali: significa che se ne può beneficiare in tanti, senza che il consumo dell'uno vada a pregiudizio dell'altro. Ed hanno una caratteristica straordinaria: la contagiosità. Un secolo fa, Alfred Marshall diceva che l'utilità marginale, nel consumo dei beni culturali, cresce con le quantità date. Significa che più si fruisce di beni culturali, più si eleva il tenore culturale, e ciò induce nuova, maggiore fruizione. È come quando si ascolta una canzone o un genere musicale per la prima volta. Più la si ascolta, più la si comprende, più la si riconosce e la si vuole sentire. Insomma, i beni culturali sono contagiosi, basta solo esporsi al contagio e si desiderano ancora di più.

Anche per questo i beni culturali sono mete turistiche per definizione. Vale il contagio di Marshall: più esposizione, più turisti che dalle market nations si muovono verso le source nations, come l'Italia. Si noti peraltro che la popolazione mondiale, specie nei Paesi emergenti, sta elevando il proprio tenore culturale e molti dispongono di crescenti redditi, non a caso il 2012 è stato il primo anno in cui oltre un miliardo di persone hanno trascorso una vacanza all'estero. Infine, sono crollati - a livello globale- i costi del trasporto aereo. Insomma, un fiume di turisti attende solo di trovare la meta di vacanza desiderata e i beni culturali e ambientali italiani dovrebbero farla da padrone; è cosi?

Purtroppo no: il ritardo che scontiamo nella valorizzazione del nostro patrimonio è davvero imbarazzante. Abbiamo istituito il Ministero dei beni culturali (MIBAC) solo nel 1975, con Spadolini. Sino al 1963, gli archivi non erano beni culturali, ma documenti amministrativi, sotto l'egida del Ministero dell'Interno.

Le cosiddette sponsorizzazioni, tanto declamate oggi, sono state “scoperte” solo nel 1990, con la legge Mammì, quando occorreva finanziare i programmi televisivi. E la prima, vera apertura ai privati, nell'ambito dei servizi museali aggiuntivi, è avvenuta solo nel 1993, con la legge Ronchey. Quindi nessuna sorpresa se gli investimenti privati, da sempre, scarseggiano. E quelli pubblici? Di male in peggio: Federculture, nel suo rapporto 2012, denuncia un dimagrimento della dotazione del MIBAC di oltre il 36,4% negli ultimi dieci anni. Nel 1960, il Ministero dell'Educazione disponeva, per il settore, dello 0,82% del bilancio dello Stato. Oggi, il MIBAC ha una dotazione non superiore allo 0,17%.

Cosa accade quindi? Facciamo un'analisi comparativa. Nel 2007 (quindi prima della crisi) la Pinacoteca di Brera, il Museo archeologico di Napoli, il museo Egizio di Torino, la Galleria degli Uffizi di Firenze e la Galleria Borghese di Roma, fatturavano tutti insieme il 12,7% del British Museum, il 6% del Metropolitan Museum, il 13% del Louvre, il 57,4% del Prado. È così che intendiamo fare crescita? occupazione? Nel 2011, ben 6 mila artisti hanno dovuto lasciare il nostro Paese. Nello stesso anno la Cina allestiva 58 centri di accoglienza per artisti stranieri.

E sul turismo? Proviamo a digitare Sardinia su internet, per gli stranieri. Tra i primi dieci siti: Wikipedia, notizie sul meteo, un sito di vacanze (estive), un convegno, un quotidiano online, il sito regionale sul turismo, immagini. Sulla cultura nulla. Il sito Sardegna Cultura, della Regione, non compare. È infatti solo in italiano, e in sardo.

Aldo Berlinguer
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